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Cronaca
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Reggio Emilia affonda nelle fatture false: 200 milioni in 2 anni

7 marzo 2024 | 17:47
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Reggio Emilia affonda nelle fatture false: 200 milioni in 2 anni

Il collonnello Bixio, comandante della Finanza: “Reggio è importante, in Italia, per questo tipo di servizi illegali spesso gestito dalla criminalità organizzata”

REGGIO EMILIA – Quasi 200 milioni di euro di fatture false negli ultimi due anni. E’ la spia di un fenomeno gigantesco: un fiume di carta, illegale, che invade la nostra provincia e intossica il sistema economico, danneggiando lo Stato e i contribuenti onesti. Una cifra del genere procura un danno, solo per l’Iva evasa, di oltre 40 milioni allo Stato, senza considerare l’abbattimento dell’imponibile ai fini fiscali.

Un fenomeno dietro al quale, come testimoniato dall’ultima operazione Minefield, si celano spesso interessi della criminalità organizzata che ha fatto di Reggio uno dei centri preferiti per la creazione di società cartiere. Ne abbiamo parlato con il colonnello Filippo Ivan Bixio, comandante della Guardia di Finanza di Reggio Emilia.

Partiamo dai dati. A quanto ammonta il fenomeno delle false fatturazioni nella nostra provincia?
Abbiamo scoperto un giro di fatture false, nella provincia di Reggio Emilia, per circa 56 milioni nel 2022 e per 135 milioni nel 2023. Si tratta però di documenti che sono stati emessi anche negli anni precedenti. Il fenomeno è cresciuto, perché sono aumentate le attività fiscali e di polizia giudiziaria.

Solo parlando di Iva, quindi, a quanto ammonterebbe l’evasione?
Solo nel 2023 possiamo parlare di una trentina di milioni di euro. Ma questo solo per l’evasione Iva. Poi bisogna considerare che le fatture false servono per tanti scopi. Possono consentire di abbattere la base imponibile, possono portare alla creazione di crediti fasulli, o a una indebita compensazione. Possono essere indicative di forme di riciclaggio, o regolare delle transazioni con società fittizie all’estero. Possono servire a pagare delle tangenti. La fattura falsa è funzionale a innumerevoli scopi.

Ci può spiegare, brevemente, come funziona il fenomeno delle false fatturazioni e chi sono le società cartiere?
Sono società che non hanno alcuna attività economica reale. Magari hanno una sede e magari no. Non hanno una struttura organizzativa e non creano un business. La loro unica funzionalità è quella di generare documenti fiscali falsi e giustificare delle operazioni commerciali che, in realtà, non esistono. Hanno di solito come amministratori delle teste di legno che vengono pagati per questo. Questi documenti falsi, ovviamente, sono generati per scopi illeciti, tipo evadere il fisco. Il vantaggio di chi usa i servizi di queste società, è quello di pagare meno tasse: o pagando meno Iva, oppure erodendo la base imponibile.

Come nel caso dell’ultima operazione Minefield
Esatto. L’imprenditore riceve una fattura fittizia per una vendita fasulla di beni o servizi. Poi c’è un pagamento tramite bonifico alla società cartiera. Quest’ultima trattiene la sua percentuale, di solito un 20-25 per cento, poi restituisce in contanti, in nero, il resto all’imprenditore.

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Dopo l’operazione Minefield si può dire che Reggio Emilia è un centro importante, in Italia, per questo tipo di attività illegale?
Sì, certamente. Quello che evidenziano le indagini è che la nostra città è importante in Italia per l’emissione di queste fatture false che vengono poi emesse verso aziende che operano anche fuori dalla nostra Regione. E’ un’offerta di servizi illegali che viene fatta in questa provincia.

Il procuratore della Repubblica, Gaetano Paci, ha detto recentemente, in commissione parlamentare Antimafia, che le fatture false sono il nuovo volto della ‘ndrangheta a Reggio Emilia. È d’accordo?
Le sue dichiarazioni si fondano su delle evidenze giudiziarie, anche pregresse e non solo su quelle attuali che consolidano il ruolo della criminalità organizzata in questo business. Dobbiamo inoltre considerare che Reggio Emilia è una provincia che nel 2022 è stata la prima e nel 2023 la seconda, in Italia, per interdittive antimafia. Quindi in un tessuto economico sano, diciamo che c’è una percentuale elevata di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. Quindi, sì, sono d’accordo.

Il fenomeno delle false fatturazioni non potrebbe esistere se non ci fosse la collaborazione di imprenditori che se ne avvalgono e anche di professionisti compiacenti. E’ così?
Allora, evidentemente qui parliamo di professionisti che hanno un ruolo attivo. Lungi da me condannare la categoria, ma credo che i commercialisti svolgano una funzione importante, perché sono dei presidi importanti di legalità e hanno dei sensori importanti sul territorio. Possono intercettare anche prima dei fatti che poi possono servire come alert giudiziari. Intercettare per tempo queste forme di illecito previene le forme di distorsione del mercato. Questo può creare degli svantaggi competitivi e degli arrichimenti illeciti.

Quali sono, in base alla sua esperienza, i settori economici più a rischio per quel che riguarda questo fenomeno?
Sono quelli dell’edilizia e della logistica, ma anche quello delle pulizie e dei metalli.

False fatturazioni, nero e riciclaggio sono fenomeni spesso correlati. Nell’ultima inchiesta Minefield abbiamo visto che il sodalizio criminoso si serviva anche di scatole vuote all’estero
Il sistema delle società all’estero serviva per ripulire e reinvestire il denaro illecito. Le provvigioni che venivano tolte alla somma che poi veniva restituita all’imprenditore, venivano dirottate all’estero, sempre con fatture false, emesse verso società cartiere che operavano in Bulgaria. Poi questi soldi rientravano in Italia, ripuliti, attraverso spalloni, o altre forme di investimento.

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Ma come mai avevano scelto proprio la Bulgaria?
Beh, diciamo che, a seconda dei paesi, i controlli antiriciclaggio hanno sfumature diverse. È chiaro che chi delinque sceglie sempre zone dove è più difficile che venga controllato, quantomeno dalle autorità locali.

Quali sono le pene per chi commette questo tipo di reati?
Si può arrivare fino agli 8 anni di carcere. Poi bisogna considerare se, come in Minefield, c’è anche un reato associativo che è un aggravante. Poi c’è il tema del riciclaggio. Diciamo che quindi il calcolo diventa un po’ più articolato. Mi permette di aggiungere una cosa in chiusura?

Prego
Secondo me, in questo Paese, c’è un problema culturale relativamente all’evasione fiscale. La si percepisce come qualcosa di non particolarmente grave e come un problema che riguarda qualcun altro, ovvero lo Stato. Come se ogni cittadino non fosse pienamente consapevole che lo Stato è lui stesso. Non pensiamo mai che le risorse che, tramite le tasse, affluiscono a livello centrale vengono poi redistribuite per il bene di tutti. Inoltre consideriamo che, se un imprenditore paga meno tasse con sistemi illeciti, magari può vendere i suoi beni a un prezzo inferiore e questo falsa la concorrenza creando problemi sul mercato.