Mafie, il j’accuse di Riccò alla politica reggiana

10 novembre 2023 | 17:29
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Mafie, il j’accuse di Riccò alla politica reggiana

Nel suo libro “Quel che resta di Reggio Emilia” l’ex segretario della Cgil non fa sconti a chi governò la città negli anni in cui i tentacoli della ‘ndrangheta la soffocavano

REGGIO EMILIA – La politica reggiana sottovalutò il fenomeno mafioso nella nostra città e non gli diede la giusta importanza, fino a che non arrivarono, ad aprire gli occhi, gli arresti di Aemilia nel 2015. E’ il j’accuse che si può leggere in alcune parti del libro di Gianfranco Riccò “Quel che resta di Reggio Emilia, storie di reggiani e malfattori”, appena uscito, edito da Editrice Socialmente, in cui l’ex segretario della Cgil ripercorre le tappe del radicamento della ‘ndrangheta nella nostra provincia.

Il libro ricostruisce, senza sconti, le ragioni del radicamento della ‘ndrangheta a Reggio Emilia ed è un’appassionata orazione civile per evitare gli errori del passato. Cosa c’entra la mafia con i furti? La rete criminale a Reggio Emilia, secondo la tesi di Riccò, nasce ai tempi del primo mercato illegale dell’eroina. La malavita locale di ladruncoli e sfruttatori di prostitute è diventata un grande mondo sotterraneo con i mafiosi al centro, diventati ricchi e imprenditori, nell’edilizia e nei trasporti, attirando anche altri imprenditori con le fatture false mentre lo Stato è rimasto silenzioso, fino a quando un gruppo di suoi dirigenti approdati in Emilia ed a Reggio ha sollevato il velo: la malavita organizzata vive in mezzo a noi. Nonostante i processi la gente non riesce a collegare la mafia alla criminalità

In numerosi passaggi del libro Riccò critica i Ds e il Pd per la sottovalutazione delle infiltrazioni mafiose. Facendo cenno alla Commissione per l’acquisizione di conoscenze dei fenomeni illegali in edilizia, Riccò scrive che l’allora sindaco Delrio “lasciò perdere i cantieri dell’edilizia, la degradazione del lavoro, le presenze mafiose nell’economia sui quali l’assessore Annarita Salsi aveva avviato il lavoro della commissione”.

Scrive Riccò: “Era una scelta politica, tanto che scomparve nella relazione previsionale per il periodo 2007-2009, un errore che si ritorcerà contro il sindaco quando dovrà rispondere ai magistrati della Dda sullo scopo dell’incontro tra alcuni consiglieri comunali reggiano-cutresi e il prefetto De Miro”.

Gianfranco Riccò

Riccò ricorda come sulle “interdittive prefettizie (dell’allora prefetto De Miro) scattò l’offensiva degli ‘ndranghetisti che si dicevano vittime ‘perché siamo di Cutro'”. Si legge: “C’era malessere tra gli imprenditori cutresi-reggiani dell’edilizia, i quali avevano anche il fiato sul collo dell’Agenzia delle entrate che pretendeva di verificare la corrispondenza fra i mutui accesi con le banche per singoli cantieri e gli atti notarili di vendita. Una caccia ai soldi in nero. Ci furono alcuni cortei sotto le bandiere dell’Aier, tesi al tentativo di far acquisire al Comune gli immobili invenduti. Delrio rifiutò, ma la pressione era forte. Naturale che i consiglieri cutresi-reggiani fossero preoccupati e chiesero al sindaco di incontrare il prefetto”.

E si arriva al famoso incontro del 2011 fra il sindaco Delrio, i consiglieri comunali calabresi e il prefetto “reso ambiguo dalle cause che sollecitarono i consiglieri a tale iniziativa”. Scrive Riccò: “Rimase il sospetto che si volesse limitare le interdittive, ma questo non fu mai detto, almeno esplicitamente, ma tanto bastò per interessare i magistrati della Dda di Bologna. Prima circolò la notizia informale di un incontro sulle interdittive del sindaco Delrio con la De Miro. Poi arrivò la conferma dai verbali dei magistrati che lo interrogarono”.

Graziano Delrio

Delrio disse ai magistrati: “Ho accompagnato i consiglieri calabresi perché il prefetto potesse spiegare le ragioni delle sue interdittive, perché loro avessero la certezza che non ci fosse una vena antimeridionalista. Il prefetto li rassicurò che lei agiva su fatti concerti e non su pregiudizi. Il tentativo della delegazione fu maldestro e nel verbale leggevi che il sindaco raccolse i timori di alcuni esponenti della comunità cutrese sulla possibile criminalizzazione dei loro compaesani. La prima reazione che ti potevi aspettare da lui e dai consiglieri comunali reggiano-cutresi era il sostegno all’azione del prefetto, anche solo allo scopo di distinguere gli onesti dai fiancheggiatori della ‘ndrangheta proprio quando i mafiosi sui giornali sostenevano che non c’era criminalità organizzata, ma solo discriminazione contro di loro in quanto calabresi. Così commentò il prefetto De Miro: una cosa mai vista”.

vecchi

E ancora si legge: “La ritrosia a discutere di certi temi era di vecchia data. Me ne accorsi quando nel 2005 venni intervistato dal Giornale di Reggio. Avevo detto che nell’edilizia c’era di tutto: caporalato, evasione fiscale, lavoro nero, estorsioni, logiche mafiose di Cutro trasferite a Reggio. Una reazione molto negativa la ebbero i consiglieri reggiano-cutresi. L’ingegner Salvatore Scarpino, dei Ds come me, e il geometra Antonio Rizzo di Alleanza nazionale: due frammenti di sinistra e destra alleati contro di me per respingere, con indignazione, ogni ragionamento sull’esistenza del ginepraio in edilizia e sulla presenza mafiosa calabrese. La negazione di quella realtà malata non aiutò a combattere le infiltrazioni della ‘ndrangheta e a far luce sull’economia deragliata. Mi aspettavo che almeno il segretario dei Ds, Maino Marchi, entrasse nelle questioni sollevate, ma dovetti accontentarmi solo del rimprovero del mio amico Luca Vecchi che, in una riunione della componente di sinistra del partito, giudicò l’intervista inopportuna”.