I cattolici ribelli di Casalgrande Alto alla diocesi: “Incontriamoci”

29 ottobre 2023 | 09:49
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I cattolici ribelli di Casalgrande Alto alla diocesi: “Incontriamoci”

Siamo entrati nella cooperativa agricola cattolica su cui sono piovuti i provvedimenti del vescovo. Don Crescimanno: “Non vorremmo che, come negli anni Settanta si condannavano i preti operai, oggi si condannassero i preti contadini. Non siamo una minaccia. Cosa hanno da temere da noi i pastori della Chiesa?”

CASALGRANDE (Reggio Emilia) – “Non abbiamo mai avuto un vero e proprio incontro con i vertici della diocesi per discutere sul da farsi. Se ci dicessero: possiamo trovare un punto di incontro a patto che voi facciate una serie di cose, allora ci sarebbe una base da cui partire per poter ragionare insieme. Questo, ad oggi, non è stato fatto”.

Don Claudio Crescimanno (nella foto) lo dice con voce pacata, ma ferma nel nostro incontro sui colli di Casalgrande Alto in quella che è stata definita una comunità di eretici e di scismatici. Reggio Sera è entrata nella cooperativa agricola di S. Isidoro, patrono degli agricoltori, formata da circa 140 persone. C’è un grande piazzale con una statua della Madonna in mezzo: intorno alcuni prefabbricati dove vivono don Claudio insieme a don Andrea Maccabiani, il sacerdote lefebrviano.

Si vede un grande Cristo al limite della collina che sovrasta un altare su cui si celebrano le messe all’aperto. Una piccola cappella al chiuso. Un tempo c’era anche una scuola parentale che ora è stata trasferita a Sassuolo. La vista è meravigliosa e abbraccia tutta la pianura padana. Una volta qui c’era un piccolo zoo e pare ci fosse pure un leone: ora ci sono oche, galline, asinelli, capre pecore e alberi da frutto. C’è un grande senso di pace. E’ difficile pensare che, proprio qui, si stia consumando uno strappo sanguinoso fra questa piccola comunità di fedeli e la diocesi reggiana.

Dopo due anni di richiami, la diocesi di Reggio Emilia e Guastalla ha preso misure contro i sacerdoti Claudio Crescimanno e Andrea Maccabiani, imponendo loro il “divieto di esercitare qualsiasi attività ministeriale in qualsiasi forma”. Ulteriori violazioni potrebbero comportare sanzioni più gravi.

Dice don Crescimanno: “Noi speriamo di incontrare i vertici della diocesi ed essere accolti dai pastori della Chiesa e chiediamo che guardino con benevolenza a una piccola comunità di persone che non vogliono altro che essere cattoliche e che, legittimamente, cercano un incontro con l’autorità cattolica. In base a questo si vedrà cosa accadrà. Non vorremmo che, come negli anni Settanta si condannavano i preti operai, oggi si condannassero i preti contadini. Noi non abbiamo niente e non siamo una minaccia per nessuno. Cosa hanno da temere da noi i pastori della Chiesa?”.

Le persone che frequentano questo posto hanno costituito anche un’associazione culturale che si chiama “Città cristiana” che esiste da prima che la comunità si formasse e poi è andata crescendo. A questa associazione culturale fa capo la scuola parentale, conferenze, incontri e attività formative.

Come vi finanziate?
Ci finanziamo con un autosostentamento. Questa esperienza esiste da due anni. L’idea è nata da un cambiamento di prospettiva rispetto alla tipologia abituale delle comunità cristiane che è la parrocchia. Questo, tuttavia, non significa che noi contestiamo la struttura ordinaria della vita della Chiesa che funziona perfettamente da secoli.

Cosa vi ha portati a costruire questa comunità?
È necessario prendere atto che siamo in una società post-cristiana e che quindi è necessario ritornare a una vita cristiana più semplice e più comunitaria. Con meno strutture e meno burocrazia. A una comunità dove i sacerdoti e le famiglie pregano, lavorano ed educano insieme i loro figli. Ci sono cattolici che vivono così negli Stati Uniti e seguono l’opzione Benedetto che si rifà a San Benedetto da Norcia. Portano avanti progetti caritativi, educativi e sociali.

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Voi avete operato uno strappo con la diocesi. Perché lo avete fatto?
Noi abbiamo cercato un incontro con la diocesi prima ancora di venire a vivere qui. Siamo stati incoraggiati, in questo, anche dal fatto che, alcuni della nostra comunità, avevano dei rapporti buoni con alcuni esponenti della diocesi di Reggio. C’era ancora il vescovo Camisasca. Abbiamo fatto richiesta tramite una di queste persone che ha scritto una mail, chiedendo un incontro a metà giugno 2021. La risposta è arrivata a settembre, ma non per fissare un incontro, bensì per chiedere ulteriori informazioni. Dopodiché non sapevamo neanche noi come regolarci. La cosa è andata avanti così fino a dicembre. Noi abbiamo fatto, a fine maggio 2021, il compromesso per l’acquisto di questa proprietà e, pochi giorni dopo, abbiamo chiesto un incontro, ma non è mai stato possibile ottenerlo. A questo punto abbiamo cominciato a sistemare tutto e a fare le nostre cose sperando che, prima o poi, questo incontro arrivasse. Invece sono arrivati i provvedimenti nei nostri confronti. Ma noi eravamo e siamo desiderosi di avere questo incontro.

Potevate anche chiedere l’autorizzazione per dire le messe in latino, ma non disconoscere quelle post conciliari. Non entrare in rottura rispetto al Concilio Vaticano II. Perché non ci avete provato?
Questo non abbiamo mai avuto la possibilità di saperlo. Ci dicano cosa dobbiamo fare. Incontriamoci e parliamo. Non possiamo certo chiudere tutto e andare via. Abbiamo 20 anni di mutuo da pagare. Se ci dicessero: possiamo trovare un punto di incontro a patto che voi facciate una serie di cose, allora ci sarebbe una base da cui partire per poter ragionare insieme. Questo, ad oggi, non è stato fatto.

Poi c’è la questione di don Andrea Maccabiani che è un sacerdote ordinato da un vescovo consacrato a sua volta da monsignor Lefebvre, in una situazione canonica non regolare
Lui è un sacerdote validamente ordinato. È illecito l’esercizio del suo ministero sacerdotale? Su questo ci sono versioni diverse. I lefrebrviani dicono che sia lecito in questo momento storico e il Papa e la Santa sede hanno un atteggiamento benevolo nei loro confronti. Possono dire messa e occuparsi dell’amministrazione dei sacramenti. Rispetto a questo mondo c’è un cambiamento in atto. I precedenti pontefici erano molto più rigorosi, ma, da dieci anni a questa parte, c’è più benevolenza.

Evidentemente non la pensa così il vescovo Morandi
Capisco. Lui ha i suoi motivi e li ha espressi. Noi siamo qui senza l’autorizzazione della autorità diocesana, anche se saremmo ben felici di esserlo. Se ci fosse la possibilità di discutere di un punto di incontro, sarei ben felice.

Da un punto vista canonico si pone un problema. Voi non potete confessare, non potete fare cresime, battesimi e celebrare matrimoni. Solo messe private. Tutti i sacramenti, quindi, non sono più validi. Questo è un problema. Non crede?
Anche il movimento fondato da monsignor Marcel Lefebvre, ovvero la Fraternità Sacerdotale San Pio X, ha sempre sostenuto che, data la situazione attuale, in realtà c’è la possibilità di farlo per qualunque sacerdote. Questo è contemplato anche nel codice di diritto canonico. Ma bisogna nuovamente dire che, rispetto a questa tesi, c’è comunque un nuovo atteggiamento benevolente e pratico rispetto alla messa e ai sacramenti.

E relativamente alla critiche al Concilio vaticano II?
Noi condividiamo, come molti altri sacerdoti e fedeli nel mondo, alcune critiche nei confronti di quello che è successo con il concilio e il post concilio. Ma non perché ce l’abbiamo con qualcuno o riteniamo di essere migliori degli altri, ma perché vorremmo essere cattolici. Non un po’ cattolici, un po’ protestanti, un po’ marxisti e qualcos’altro. Noi dobbiamo seguire il vangelo nel quale Gesù dice ai suoi discepoli: “Voi dovete essere nel mondo, ma non del mondo”. Noi dobbiamo vivere nel mondo, perché facciamo la spesa come tutti e andiamo dal medico come tutti. Viviamo nel mondo, ma non possiamo avere la stessa mentalità. Non c’è dubbio che ci sono dei punti in cui il mondo e il vangelo non vanno d’accordo.

Quindi esattamente cosa fate qui e qual è la vostra fuzione?
Noi facciamo un lavoro di supplenza e aiutiamo persone che altrove non si trovano bene. È la gente che è venuta da noi per chiedere qualcosa che non trova altrove e noi rispondiamo a questo. Noi critichiamo i vescovi? No. Io non sono nulla rispetto a monsignor Morandi. Abbiamo da rimproverare qualcosa alla Chiesa? Ci mancherebbe. È la nostra madre. Ma possiamo fare qualche domanda? Ad esempio: c’è qualcosa che non funziona da 50 anni a questa parte? Si sono svuotati i seminari, i conventi, le chiese. Possiamo dire che c’è qualcosa che non funziona? Noi pensiamo che la risposta giusta a questa domanda sia tornare a una maggiore coerenza con la tradizione della Chiesa. Ci sbagliamo? Può darsi. Ma resta la domanda. Si può continuare a fare quello che si è fatto finora vedendo i risultati che ci sono? Fra dieci anni non si saprà come tenere insieme le strutture diocesane. I conventi sono vuoti, tutto l’apostolato dei frati e delle suore scomparirà. Scuole, ospedali, case per anziani, disabili, soccorso a poveri e bisognosi. Tutto questo sparirà con un impatto anche sociale. Si stanno svuotando le chiese. Le statistiche vere sono che in Emilia-Romagna la percentuale dei praticanti, dei veri praticanti, non quelli che vanno a messa una volta al mese, è tra il 3 e il 5%. Vogliamo andare avanti così?

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Un’esperienza come la vostra potrebbe essere una soluzione a tutto questo?
La gerarchia della Chiesa, da 50 anni a questa parte, ritiene che più si va in questa direzione e meglio è: ovvero quella del rinnovamento della Chiesa. Ma è giusta? Ci sono alcuni vescovi, molti sacerdoti e tanti fedeli che si pongono questa domanda. Anche non per forza tradizionalisti. Non dico che la nostra ricetta sia quella giusta. Noi diciamo: lasciateci fare questo esperimento. È una Chiesa che, da 50 anni, fa esperimenti nella teologia, nella pastorale, nella liturgia.

Fino a che punto pensate di spingervi in questa rottura?
Questa domanda non ha una risposta. Noi speriamo di incontrare i vertici della diocesi ed essere accolti paternalmente dai pastori della Chiesa e chiediamo che guardino con benevolenza a una piccola comunità di persone che non vogliono altro che essere cattoliche e che, legittimamente, cercano un incontro con l’autorità cattolica. In base a questo si vedrà cosa accadrà. Non vorremmo che, come negli anni Settanta si condannavano i preti operai, oggi si condannassero i preti contadini. Noi non abbiamo niente e non siamo una minaccia per nessuno. Cosa hanno da temere da noi i pastori della Chiesa?