Zio Vanja di Čechov al teatro Ariosto

Date Evento
Dal 17 gennaio al 19 gennaio
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Ingresso

Evento concluso

Venerdì 17, sabato 18 gennaio (ore 20.30) e domenica 19 gennaio (ore 15.30) lo spettacolo per la regia di Lidi

Zio Vanja di Čechov al teatro Ariosto

REGGIO EMILIA – Nella tenuta in cui Vanja trascorre la sua placida esistenza, basta l’arrivo del professor Serebrijakov, accompagnato della giovane moglie Elena, a distruggere ogni equilibrio… Tra amori infelici e vite mai pienamente vissute, il regista Leonardo Lidi continua il suo viaggio nei capolavori di Anton Čechov e propone nei giorni venerdì 17, sabato 18 gennaio (ore 20.30) e domenica 19 gennaio (ore 15.30) al Teatro Ariosto lo spettacolo Zio Vanja, seconda tappa del Progetto Čechov, dopo Il gabbiano.

Con uno spettacolo definito “irriverente, grottesco e arditamente rimesso a nuovo” Lidi porta “Zio Vanja” negli anni ’60, gli attori hanno parrucche e costumi di quegli anni, opera di Aurora Damanti. Smessi gli arredi “cechoviani”, le scene sono di Nicolas Bovey, che pensa a una grande parete di legno stagionato di betulla striato con vene scure: i personaggi ruotano intorno a una panca. Franco Visioli crea le sonorità, mentre il cast è composto da Giordano Agrusta, Maurizio Cardillo, Ilaria Falini, Angela Malfitano, Francesca Mazza, Mario Pirrello, Tino Rossi, Massimiliano Speziani, Giuliana Vigogna, che ci restituiscono la miseria dei loro personaggi: si ride, a volte, ma da qualche parte “arriva una fitta”.

“La seconda tappa del Progetto Čechov – spiega il regista – abbandona il gioco e si imbruttisce col tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria, per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze a occupare ogni spazio vitale. Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore, ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando? Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Se nel Gabbiano sprecavamo carta e tempo nel ragionare sulla forma più corretta con la quale passare emozioni al pubblico, divisi tra realismo e simbolismo, tra poesia e prosa, tra registi, scrittori e attrici, e ci bastava una panchina per tormentarci dei dolori del cuore, in Zio Vanja l’arte è relegata a concetto museale, roba da opuscoli aristocratici, uno sterile intellettualismo che non pensa più al suo popolo, che annoia la passione e permette agli incapaci di vivere di teatro”.