Peluso (Cme srl): “L’urgenza è rilanciare la nostra edilizia”
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Peluso (Cme srl): “L’urgenza è rilanciare la nostra edilizia”

7 maggio 2019 | 18:10


Intervista a Francesco Peluso, ingegnere e co-titolare di CME, azienda produttrice di macchinari per l’estrazione e la pulizia di inerti per cave e miniere. La ricetta per ripartire: “Tagli alla burocrazia e incentivi concreti per riattivare i settori in stallo”


REGGIO EMILIA – Il settore manifatturiero in Emilia Romagna rimane uno dei più importanti e fruttuosi, ma le difficoltà che incontrano quotidianamente le aziende rischiano di incidere sul suo futuro. Ne abbiamo parlato con Francesco Peluso, ingegnere e co-titolare di CME srl, azienda produttrice di macchinari per l’estrazione e la pulizia di inerti per cave e miniere.

Buongiorno Francesco, tu che lavori da molti anni nel settore manifatturiero che problemi riscontri al giorno d’oggi?
Le problematiche sono tante, ma noi siamo comunque riusciti a ritagliarci uno spazio all’interno di un mercato competitivo e altalenante. Sicuramente un problema deriva dal fatto che in Italia le opere pubbliche sono rare e richiedono tantissimo tempo per essere approvate e per fare partire i progetti. Inoltre la burocrazia italiana è davvero sfinente: un progetto rischia di non vedere la luce per anni se durante gli scavi si trovano per caso materiali o resti antichi. Più volte è successo che i cantieri sono stati interrotti, oppure spostati, perché alla richiesta di un esame ulteriore (da parte della Soprintendenza o dei Beni Culturali ad esempio) i tempi di attesa si sono allungati troppo. Capisco che purtroppo le risorse sono limitate, ma è importante alleggerire questo tipo di processo per aiutare il mercato edilizio, è importante fare in modo che l’edilizia riparta.

Cme lavora molto con l’estero, quali sono i mercati più fertili al momento?
Uno dei Paesi con cui collaboriamo più frequentemente è sicuramente il Marocco, che negli ultimi 10 anni ha dimostrato grande apertura verso l’Italia, grazie al governo dell’attuale re e alla sua politica di liberalizzazione, volta all’innovazione e agli investimenti sulle grandi opere. Altri Paesi con cui collaboriamo sono quelli del Nord Europa e dell’Est, come la Polonia. Francia e Germania sono due nazioni guida, ma con loro i rapporti sono molto più difficili, i pregiudizi verso gli italiani sono duri da scalfire.

Quindi all’estero il Made in Italy continua a farsi valere?
Sicuramente siamo ancora in pole position in diversi settori, come quello della metalmeccanica. All’estero continuano a riconoscere la qualità innegabile dei nostri prodotti, inoltre una caratteristica che sicuramente distingue le nostre aziende dai competitor esteri è il rapporto che instauriamo coi clienti: l’accoglienza italiana e la nostra flessibilità lavorativa rimangono attributi estremamente apprezzati. Noi di CME ad esempio siamo in grado di adattare i nostri macchinari a qualsiasi tipo di esigenza del cliente – come anche di mercato. Dobbiamo difendere questa nostra firma, spesso facciamo di tutto per maltrattare il Made in Italy.

Ci sono differenze tra il mercato italiano e quelli esteri?
Mentre all’estero puntano spesso su macchinari nuovi ed innovativi, in Italia la stragrande richiesta arriva da aziende che vogliono mettere a nuovo macchinari datati. Noi l’abbiamo capito diversi anni fa, per questo ci siamo attrezzati e abbiamo cominciato ad offrire anche un servizio di manutenzione, altrimenti sarebbe stato molto più duro resistere in un mercato così incerto.

Quindi in Italia si punta all’usato “garantito”?
Diciamo di sì. Spesso le aziende acquistano macchinari da imprese che hanno chiuso invece che investire su quelli nuovi, sicuramente più costosi. Ovvio che il concetto è lo stesso che vale per le auto usate: sicuramente appena le compri costano meno delle nuove, ma poi col tempo la manutenzione costa molto di più.

Quindi in Italia servono più investimenti e meno burocrazia. Altri consigli?
Le aziende dovrebbero sicuramente supportarsi di più a vicenda: è molto è più facile superare le difficoltà insieme che divisi, per questo sarebbe importante puntare su una politica di rete d’impresa.