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Saman, i giudici d’appello: “Uccisa perché voleva essere libera”

9 settembre 2025 | 17:25
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Saman, i giudici d’appello: “Uccisa perché voleva essere libera”

Le motivazioni della sentenza del 18 aprile scorso: “Il delitto fu premeditato e i genitori lo pianificarono insieme ad altri”

BOLOGNA – Nel caso dell’omicidio di Saman Abbas, la 18enne pachistana uccisa a Novellara, nel reggiano, tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021, “deve ritenersi sussistente l’aggravante della premeditazione, perché il quadro probatorio dimostra che la determinazione omicida fu assunta dal clan con fredda lucidità e programmata per un congruo lasso di tempo, ritenendosi insopportabile il fatto che Saman avesse deciso non solo di scegliere di vivere liberamente e in piena autonomia la propria vita al di fuori del nucleo familiare, ma anche in distonia con i valori etici e il credo religioso professati da tutto il suo nucleo familiare”.

Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’appello di Bologna nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 18 aprile, hanno condannato all’ergastolo i genitori della ragazza- Shabbar Abbas e Nazia Shaheen- e i cugini Noman Ul Haq e Ikram Ijaz e a 22 anni lo zio Danish Hasnain per l’assassinio di Saman, a cui si aggiungono le accuse di sequestro di persona e soppressione di cadavere. In primo grado i genitori erano già stati condannati all’ergastolo, senza però il riconoscimento delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi, mentre i due cugini erano stati assolti e lo zio condannato a 14 anni.

Al termine del processo d’appello, la Procura generale aveva chiesto l’ergastolo per tutti e cinque gli imputati. Soffermandosi sulle figure dei genitori di Saman, la Corte scrive che esse “sono caratterizzate dai seguenti tratti: hanno pianificato l’esecuzione della figlia, in concorso con altri, per motivi culturali; freddamente e lucidamente hanno contribuito a tale esecuzione in misura determinante, accompagnando la figlia, ignara, sul luogo in cui è stata uccisa; dopo l’omicidio sono fuggiti, abbandonando il figlio in Italia, e dopo la fuga non hanno mostrato alcuna resipiscenza”.

Quanto alla premeditazione, che i giudici di primo grado avevano escluso, la Corte d’Assise d’appello l’ha invece ritenuta sussistente per diverse ragioni. In primis, si legge nelle motivazioni, perché “si dubita della verosimiglianza di un’allegazione secondo cui un evento dirompente, tragico e dalle conseguenze incancellabili” come l’omicidio di Saman “possa trovare l’originaria ideazione, il successivo accordo tra i concorrenti e infine l’organizzazione esecutiva in un lasso temporale di un paio d’ore al massimo”.

In secondo luogo, la Corte sottolinea che il perito Dominic Salsarola, archeologo forense, ha affermato che “in relazione all’intervallo temporale intercorso tra lo scavo della fossa per la sepoltura e la deposizione della vittima, ‘l’unico dato che si evince è che la ragazza non è stata introdotta nella fossa nell’immediatezza della fine delle operazioni di scavo, ma in un non meglio identificabile momento successivo'”.

Anche “la presenza di una pluralità di autori dei fatti di omicidio e di soppressione di cadavere postula- secondo i giudici- la necessità di un articolato, preventivo accordo criminoso… assolutamente incompatibile con un anticipo di pochissime ore, o addirittura minuti, rispetto all’esecuzione dell’omicidio”. Infine, per i giudici anche la data del volo dei genitori per il Pakistan concorre a dimostrare la premeditazione, così come la circostanza che questo volo “sia stato taciuto da tutto il clan, compresi i genitori, sia a Saman che al fratello”.

In sintesi, secondo la Corte d’Assise d’appello bolognese “il quadro probatorio dimostra che la determinazione omicida fu assunta dal clan ritenendosi insoppportabile- siccome in definitivo contrasto con i valori etici e il credo religioso professati- la possibilità che Saman, una terza volta dopo il viaggio in Belgio e l’ospitalità in comunità, potesse scegliere liberamente di vivere al di fuori del nucleo familiare in autonomia”.

Nelle motivazioni si parla, nello specifico, di “premeditazione condizionata: la decisione di sopprimere la ragazza è subordinata alla sua decisione di uscire dal nucleo familiare per vivere in piena autonomia la propria vita, non assecondando i reiterati inviti a non andarsene da casa che i genitori le rivolsero anche negli ultimi momenti di vita” (fonte Dire).