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Frode fiscale da 100 milioni: 21 indagati a Reggio Emilia

6 febbraio 2025 | 07:53
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Frode fiscale da 100 milioni: 21 indagati a Reggio Emilia

L’organizzazione criminale era capeggiata da due ex coniugi reggiani: sequestrati orologi, auto, borse ed altri beni di lusso

REGGIO EMILIA – Con l’aiuto di professionisti compiacenti, venivano creati dei crediti di imposta fittizi, ceduti poi dietro compenso alle aziende di tutta Italia per abbattere o evadere le tasse. Agiva così l’organizzazione criminale formata da 179 persone e capeggiata da due ex coniugi di Reggio Emilia, finita al centro dell’operazione “Ombromanto” scattata questa mattina.

Oltre 200 militari della Guardia di finanza reggiana, con l’ausilio dei colleghi di altri 36 reparti, stanno operando in 28 province dando esecuzione a perquisizioni e ad un maxi sequesto di beni del valore di oltre 70 milioni nei confronti di 87 persone fisiche (di cui 40 residenti in Emilia-Romagna e 21 in provincia di Reggio). In totale sono contestati 203 capi di imputazione per reati fiscali e tributari.

L’inchiesta è partita da una segnalazione alla Gdf dell’Agenzia delle Entrate – sede di Reggio Emilia – che nel 2018 aveva notato delle anomalie nell’attività di due società reggiane, che anche le Fiamme Gialle stavano attenzionando, riconducibili al presunto “dominus” del sodalizio criminale. Un soggetto formalmente nullatenente e nullafacente, a cui in queste ore sono stati sequestrati orologi, auto, borse ed altri beni di lusso.

Dagli approfondimenti investigativi è emerso un sistema che partendo da Reggio (ma con ramificazioni in tre “macro filiali” a Milano, Verona e Roma) ha consentito di sottrarre all’erario poco più di 100 milioni nel periodo tra il 2019 e il 2022. Le aziende che usufruivano dei crediti di imposta esistenti solo sulla carta per compensare i propri debiti, circa 400, ottenevano infatti uno “sconto” fiscale dal 30 al 70% su quanto avrebbero dovuto versare.

Il meccanismo avrebbe fruttato ai promotori dell’organizzazione profitti illeciti per almeno sette milioni, che venivano in parte prelevati in contanti da un’apposita squadra di persone (un tempo si sarebbero chiamati “spalloni”) e in parte reinvestiti in società estere. A giocare un ruolo fondamentale erano poi i professionisti, 22 quelli coinvolti, tra cui due notai di Bologna (uno di loro definito “un genio del male”) e 20 tra esperti contabili e commercialisti.

Spettava infatti a loro – anche se alcuni non erano neanche iscritti agli albi professionali e in 12 casi erano normali cittadini che avevano carpito in modo illecito le credenziali necessarie – apporre il cosiddetto “visto di conformità” sulle operazioni finanziarie con cui venivano creati i crediti: principalmente false fatture (create da 4 società cartiere) e cessioni ad altre realtà indebitate di rami di azienda con in pancia i crediti inesistenti.

Alcuni dei soggetti coinvolti hanno avuto rapporti con la ‘ndrangheta e un reggiano, a cui sono stati sequestrati beni per 800.000 euro, si trova in carcere a Roma dopo l’arresto del 14 gennaio scorso nell’ambito della recente maxi operazione contro il narcotraffico scattata in città. Dopo aver guadagnato la fama di “capitale” delle false fatture “Reggio Emilia torna al centro di un sistema economico patologico e di illegalità di cui a fare le spese è in primo luogo lo Stato”, afferma il procuratore capo Calogero Gaetano Paci.

“Particolarmente grave – aggiunge – è il coinvolgimento dei professionisti, cioè proprio i soggetti che dovrebbero denunciare le operazioni sospette”. Secondo Paci, infine, il sistema fraudolento sarebbe “attuale ed operante anche oltre il periodo fotografato dall’inchiesta”.