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Processo appalti, pene per 5 anni contro i 40 richiesti

21 marzo 2024 | 14:17
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Processo appalti, pene per 5 anni contro i 40 richiesti

Molte accuse sono cadute per la prescrizione: per Montagnani e Gnoni è rimasta in piedi solo quella per “turbata libertà degli incanti”

REGGIO EMILIA – Le accuse più gravi per Santo Gnoni, quelle di corruzione, sono cadute per prescrizione o perché “il fatto non sussiste”, come pure quelle di falso in atto pubblico e rivelazione di segreto d’ufficio. L’ex capo del Servizio legale del Comune di Reggio Emilia, oggi in pensione e allora giudice della Commissione tributaria provinciale, è stato quindi condannato solo per il reato di “turbata libertà degli incanti” a un anno e sei mesi di reclusione, (contro gli 11 chiesti dalla Procura) e ad una multa di 1.200 euro più le spese di giudizio.

Anche Roberto Montagnani, dirigente ancora in servizio in piazza Prampolini, doveva rispondere “di turbata libertà degli incanti”: è stato condannato (per un solo capo di imputazione) a un anno e sei mesi di reclusione e ad una multa di 1.200 (più spese di giudizio) mentre la Procura aveva chiesto per lui quattro anni e sei mesi di carcere. Infine, i titolari dell’autofficina Corradini, Vincenzo e Lorenzo (padre e figlio) sono stati condannati, sempre per “turbata libertà degli incanti” ad un anno ciascuno, oltre che ad una multa di 600 euro.

Per loro i Pm avevano chiesto due anni contestandogli di aver ottenuto l’appalto del Comune per la rimozione delle auto incidentate in cambio di uno “sconto” all’amministrazione che doveva loro 2,7 milioni. Sono le condanne comminate dai giudici del tribunale di Reggio Emilia nel verdetto di primo grado del processo “Appaltopoli”, sui bandi di gara pilotati del Comune. Il procedimento, partito da un’inchiesta scoppiata nel 2019, vedeva 40 indagati iniziali di cui 20 poi rinviati a giudizio, con in mezzo un patteggiamento, un’assoluzione in abbreviato e due “non luogo a procedere”.

Sono invece cinque i bandi entrati nel processo indetti tra 2015 e 2017, per un valore complessivo di 27 milioni, di cui 25 coperti da un’unica gara: quella per la gestione per otto anni della sosta sulle “strisce blu”, del trasporto scolastico, dei servizi di controllo Ztl e di bike-sharing. In tutto i Pm Valentina Salvi e Giulia Stignani avevano chiesto quasi 40 anni di carcere per 13 imputati per i reati a vario titolo di falso in atto pubblico, turbativa d’asta, rivelazione di segreto d’ufficio e corruzione.

Per i quattro imputati oggi condannati la pena è sospesa. Per un anno non potranno fare contratti con la Pubblica amministrazione. Per quanto riguarda le altre posizioni, nel bando per l’assunzione di avvocati in Comune erano stati chiesti due anni e 6 mesi per Paolo Coli, legale consulente esterno del Comune che per l’accusa avrebbe anche aiutato a redigere i bandi truccati e due anni per gli avvocati Matteo Fortelli e Roberta Ugolotti, che per la Procura avevano perfino supervisionato la bozza del bando che si sarebbero poi aggiudicati.

Nei loro confronti i giudici hanno stabilito di “non doversi procedere” per “turbata libertà” della gara, in quanto il reato è prescritto. Non ci furono poi irregolarità per l’assegnazione della gestione del nido Maramotti: assolti “perché il fatto non sussiste” il direttore dell’Istituzione nidi e scuole d’infanzia del Comune Nando Rinaldi, l’ex direttrice Paola Cagliari e i funzionari Anna Maria Mazzocchi, Tiziana Tondelli, e Stefano Vaccari.

Non truccarono procedure pubbliche nemmeno il commercialista Alessandro Lucci e l’avvocato Giuseppe Altieri (“per non aver commesso il fatto”) e il broker Luigi Severi, coinvolto in un appalto sui servizi assicurativi e assolto dall’accusa di corruzione perché “il fatto non sussiste”.

Perchè “il fatto non sussiste” sono state assolte anche dall’accusa di falso Valeria Sbordino, Daniela Agosti e Anna Messini. Stessa formula piena di assoluzione, infine, per Alessandro Meggiato, ex dirigente comunale alla Mobilità ora passato in Regione e per l’ex assessore Mirko Tutino, che doveva rispondere dell’accusa di aver rivelato alcuni dettagli di una procedura in corso ad un giornalista e ad un’operatore di una coop sociale.

“Sono sempre stato certo di aver agito nella legge e nell’interesse del Comune – ha detto in aula Meggiato al termine della lettura della sentenza – e questo è stato finalmente riconosciuto, anche se solo dopo cinque anni”. Nando Rinaldi ha espresso soddisfazione e sollievo, ringraziando la sua famiglia per il supporto ricevuto. “Ora riprendiamo a lavorare”, ha garantito (fonte Dire).