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Festa del Tricolore, la Metsola: “Abbiamo bisogno dell’Europa”

7 gennaio 2024 | 19:13
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Festa del Tricolore, la Metsola: “Abbiamo bisogno dell’Europa”

In un teatro Valli gremito gli interventi della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, dei sindaci ospiti e del giornalista Ezio Mauro

REGGIO EMILIA – Dopo l’incontro in Sala del Tricolore con la consegna di Costituzione e Bandiera italiana ad associazioni di cittadini migranti e alunni di scuole di Reggio Emilia e provincia, il ruolo delle città in Italia e in Europa è stato uno dei temi più rilevanti affrontati nella seconda parte delle Celebrazioni della Giornata nazionale della Bandiera e 227° anniversario del Primo Tricolore, svolta in un teatro Municipale ‘Romolo Valli’ gremito.

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L’incontro è stato aperto dall’intervento di saluto, in video, della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola che ha detto: “Il Tricolore italiano, quale bandiera nazionale, nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797. La vostra bandiera oggi sventola, assieme alla bandiera europea, in tutta Italia, anche sul palazzo del Comune della vostra città. Ero una bambina quando si aprì la prima breccia nella Cortina di ferro. Forse la mia generazione non ha colto subito l’enormità di quel momento. Ma ricordo chiaramente la gioia di milioni di europei finalmente liberi di scegliere il proprio destino. Si percepiva un senso di speranza, di opportunità illimitata, in cui la gente credeva. Torno spesso a quel momento, quando penso a quei valori comuni su cui si fonda la nostra Unione Europea”.

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Ha continuato la Metsola: “Eppure nel corso degli anni forse ci siamo cullati nella convinzione che i vantaggi delle democrazie liberali fossero così evidenti che abbiamo smesso di dire ai cittadini di lottare per ottenerli. La guerra è tornata nel nostro continente, il terrorismo è di nuovo in aumento, le sfide sanitarie, migratorie ed economiche persistono. Ma la brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto l’Europa a riaffermare più chiaramente la sua ragion d’essere e a ricordare le ragioni per cui, dalle ceneri della seconda guerra mondiale, i nostri Paesi si sono riuniti per difendere la pace in Europa”.

Ha aggiunto: “Sono stata eletta presidente del Parlamento europeo quasi due anni fa. E non c’è stato giorno di questo mandato, in cui io non mi sia impegnata a voler avvicinare il Parlamento europeo a cittadini, uscendo dalla bolla di Strasburgo o Bruxelles. David Sassoli, il mio predecessore, ha saputo guidare stoicamente questa Assemblea attraverso quella che si preannunciava come una crisi esistenziale, con la sua mano ferma al volate. Il Parlamento europeo non lo ringrazierà mai abbastanza per quanto ha fatto. Continuerò a lavorare per un’Europa più unita, più vicina alle persone, più autentica nei suoi valori”.

E ha concluso: “Ci sono sfide che sono semplicemente troppo grandi, perché qualsiasi Paese possa rispondere da solo. Abbiamo bisogno dell’Europa, non solo per vivere in pace, ma anche per essere liberi. Crediamo nell’appello all’Europa, un’Europa libera e unita, perché ognuno di noi possa dire: anche io ne sono parte”.

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Dopo l’intervento della presidente Metsola, si è svolto un dialogo tra i sindaci ospiti di Bologna Matteo Lepore e di Genova Marco Bucci, insieme con il sindaco Luca Vecchi. Nel dibattito, moderato dalla giornalista Susanna Ferrari, è emerso che le città, dall’Età comunale del Medioevo ad oggi, si pongono quali luoghi di coesione, autonomia, innovazione politica, culturale, economica e sociale in Italia e in Europa.

Il sindaco Lepore ha sottolineato che giustizia sociale, partecipazione e speranza sono oggi i principali valori generati e attesi dalle comunità e dalle amministrazioni delle città. Ha ricordato che Bologna è una città soggetta a uno specifico tipo di immigrazione, interna, cioè da altre comunità italiane, determinata soprattutto dagli studenti universitari che, dopo il Covid e nonostante il Covid, sono in aumento: circa ogni cinque anni, un quarto della popolazione bolognese cambia, si rinnova. Il fenomeno comporta una spiccata vitalità, ma anche necessità di aggiornare servizi, dare risposte innovative e di crescita su più fronti, dall’accoglienza alla formazione e alla ricerca scientifica e tecnologica.

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Il sindaco Vecchi ha ribadito che i valori di libertà, eguaglianza e fratellanza rappresentati dal Tricolore riguardano direttamente le città, che possono esserne efficaci interpreti. L’impegno per la pace è a sua volta proprio delle città, sia nella costruzione al loro interno di relazioni di comunità civili, democratiche e pacifiche, sia a livello nazionale e globale attraverso le relazioni internazionali, in questa fase di crescente conflittualità anche in seno all’Europa. Vecchi ha citato inoltre il ruolo di primo piano delle città nell’accoglienza, nella realizzazione di condizioni di giustizia, protezione e sicurezza sociali, sia pure nelle condizioni di ‘ordinaria emergenza’ con cui le città e le loro amministrazioni sono costrette a fare i conti ogni giorno, essendo spesso considerate, come sosteneva Bauman, ‘discariche di problemi globali’.

Il sindaco Bucci ha evidenziato il valore dell’unità rappresentato dalla bandiera, sia italiana, sia europea. Una unità di valori e finalità che accomuna tutte le città in particolare riguardo a: salvaguardia dell’ambiente, energia non solo sostenibile ma anche energia delle idee nuove, infrastrutture che devono essere efficaci a livello locale così come in ambito europeo e pace da coltivare come modello di relazione e prima ancora quale stato interiore. L’Europa è il luogo, la casa condivisa in cui vivere queste sfide. E ha definito chi è a capo delle amministrazioni cittadine come coloro che sono chiamati ad ascoltare e poi a decidere: il loro compito non è una amministrazione corrente, ma proporre e realizzare ‘cose’ nuove, in grado di produrre la qualità di vita e il futuro delle comunità. Bucci ha anche ricordato le affinità tra Reggio Emilia e Genova: se la prima è la Città del Tricolore, la seconda è la Città dell’Inno nazionale, dato che coloro che lo hanno composto – parole di Goffredo Mameli e musica di Michele Novaro – erano entrambi patrioti genovesi. Perciò lavora al riconoscimento formale di Genova quale Città dell’Inno nazionale.

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A Ezio Mauro, già direttore de La Stampa e de la Repubblica, il compito della lectio magistralis sul Tricolore. Il giornalista, in un’ampia trattazione storica e politica, ha sottolineato fra l’altro il nesso fra Bandiera, Stato, Paese e Nazione, ricordando che il Tricolore della Repubblica Cispadana, nato a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, è stato il primo ad essere emblema di uno Stato sovrano, di forma repubblicana, in Italia. Ciò significa che quel Primo Tricolore – che perciò, a tutti gli effetti, è origine della Bandiera nazionale italiana – rappresentava prima di tutto le speranze e la coesione di un popolo: una unità statuale fondata su valori di giustizia e fratellanza per volontà di un popolo e dei suoi rappresentanti, non per diritto dinastico o per pretese militari.

In questo senso, la bandiera rappresenta un “significato puro” e un “simbolo che accompagna” oggi come allora la vita e la storia di un popolo unito. A fine Settecento quel popolo era quella emiliano, ricco di un’energia che stupì lo stesso Napoleone, il quale gli riconobbe una forza vitale, in termini di autonomia politica e istituzionale, maggiore anche di quello lombardo.

Mauro si è chiesto dove sia custodito oggi quel deposito civile così importante. E la risposta che ha dato è che quel deposito virtuoso risiede ancora in noi, nelle comunità e nelle città, che sono prima e ultima infrastruttura della democrazia occidentale. In queste comunità è custodito, in esse va stimolato e da esse va fatto emergere. Quelle città al cui centro c’è la piazza, luogo di relazione, confronto civile, nascita dei diritti, crescita sociale, ai lati della quale si trovano, come spesso si nota in Italia, il Municipio, la Prefettura e la Cattedrale. Una bandiera è fatta per sventolare, ovvero si muove realmente quando sono vivi i valori, unitari e non di parte, che rappresenta. La bandiera certo può rappresentare ciò che non siamo, a anche ciò che possiamo e siamo riusciti ad essere.