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La Cgil: “Basta attacchi al diritto di aborto”

25 maggio 2023 | 09:30
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La Cgil: “Basta attacchi al diritto di aborto”

Maritria Coi, della segreteria regionale: “Il governo si occupi di combattere la precarietà lavorativa ed esistenziale che i suoi primi provvedimenti favoriscono e che impediscono alle coppie che lo desiderano di diventare genitori”

REGGIO EMILIA Nel percorso di avvicinamento all’autoritarismo del governo ungherese di Orbàn, il governo Meloni non perde occasione per attaccare il diritto all’aborto nonostante la premier avesse dichiarato durante la campagna elettorale di non essere intenzionata a toccare la legge 194. Il secondo attacco dopo quello di Gasparri, che vorrebbe introdurre una fantomatica capacità giuridica del feto, al diritto di aborto punta a creare nuove difficoltà alle donne.

Appena una settimana fa, il 16 maggio, è stata infatti avanzata in Parlamento una nuova proposta di legge di iniziativa popolare, su impulso del sedicente movimento pro-vita, dal nome “Un cuore che batte“, per integrare con il comma 1-bis l’art. 14 della Legge. Nel dettaglio si andrebbe così ad aggiungere che: “Il medico che effettua la visita che precede l’interruzione volontaria di gravidanza” ai sensi della legge, “è obbligato a far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo e a farle ascoltare il battito cardiaco dello stesso”.

Evidente il subdolo tentativo di colpevolizzare le donne e non a caso le ginecologhe che difendono la 194 hanno definito tale pratica “una tortura” finalizzata a rendere ancora più dolorosa l’interruzione di gravidanza per la donna che la sceglie.

Le cosiddette leggi sul battito cardiaco fetale sono state una caratteristica della legislazione antiaborto negli Stati Uniti: le prime leggi miravano a costringere la paziente incinta ad ascoltare il monitor ecografico nella speranza che le scoraggiasse dal procedere con l’aborto. Dopo gli Stati Uniti, in Europa Ungheria e Polonia hanno seguito la stessa strada. Vogliamo quindi informare la premier che non permetteremo che lo stesso avvenga in Italia e non staremo a guardare chi intende riportare indietro le lancette della civiltà

In Italia la legge 194 è da tempo messa in discussione: non solo il massiccio ricorso all’obiezione di coscienza (oltre che) da parte di ginecologi, (anche) di anestesisti e di personale non medico (di fatto di intere strutture) rende sovente inaccessibile il diritto in questione (oltre ad essere costato all’Italia anche una condanna da parte del Comitato Europeo dei Diritti Sociali); le disparità tra Regioni nel garantire l’IVG fotografano poi anche in tema di aborto un doloroso “turismo dei diritti” già sperimentato su altri fronti; infine la strutturazione del ricorso all’aborto farmacologico come una vera “corsa ad ostacoli rappresentano le principali coordinate di questa guerra contro le donne.

L’obiezione di coscienza è infatti usata in questo Paese per sabotare l’aborto, non per tutelare chi ha un’etica particolare. A colpi di cavilli e pretesti possono sempre essere create nuove difficoltà ma non bisogna dimenticare che la legge 194 è il frutto del dibattito politico e parlamentare che si aprì nel Paese, che dovette riconoscere alle donne il diritto di scelta, il diritto cioè di non essere più costrette a ricorrere all’aborto clandestino. Ancora oggi dopo 45 anni ci ritroviamo a dover chiedere un potenziamento dei consultori, l’informazione nelle scuole e tra i giovani, la gratuità dei contraccettivi e, mentre il governo ciancia di aumento della natalità e di difesa dell’italica razza, nulla sta facendo per aiutare quelle donne che scelgono di diventare madri e che in Italia si trovano a dover lottare contro la mancanza di servizi, salari insufficienti e precari che le pongono in condizione di perenne ricattabilità.

Se infatti andiamo a vedere le migliori esperienze che hanno garantito la libertà di essere madri, come quella francese, scopriamo che ciò di cui hanno bisogno le madri non è la colpevolizzazione dell’aborto o l’invito a rimanere a casa a crescere i figli, ma servizi per la prima infanzia e per il post partum capillari, efficaci e soprattutto gratuiti che consentono una genitorialità condivisa e una tranquillità economica ed esistenziale.

Maritria Coi, responsabile Politiche di Genere , Segreteria Cgil Emilia Romagna