Mafie, hacker etici contro per combatterle sul web

10 maggio 2023 | 16:56
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Mafie, hacker etici contro per combatterle sul web

Le mafie nel mondo digitale al centro del convegno di apertura di Noicontrolemafie, il Festival della legalità promosso dalla Provincia di Reggio Emilia

REGGIO EMILIA – Combattere il fuoco col fuoco e formare degli hacker (pirati informatici, ndr) al servizio delle forze dell’ordine per contrastare le mafie nel mondo digitale. È la linea d’azione, in parte già avviata, della Direzione investigativa Antimafia. A illustrala il suo direttore, Maurizio Vallone, che ha partecipato stamattina in videocollegamento alla giornata di apertura del festival della legalità della Provincia di Reggio Emilia.

Vallone ha sottolineato le “difficoltà investigative e giudiziarie che il mondo digitale e l’intelligenza artificiale ci creano” perché, sebbene la legislazione italiana sia da questo punto all’avanguardia, in Europa “esistono tante sensibilità e formazioni e l’esigenza di tutelare la privacy, ad esempio, ci crea una serie importante di limitazioni e di difficoltà, dal riconoscimento facciale alla gestione delle banche dati”. Il direttore della Dia ha poi spiegato: “Anche noi abbiamo investigatori che lavorano sui social per verificare la capacità economica di determinati soggetti che, non avendo una attività lecita, mostrano una capacità reddituale che non può che essere di provenienza illecita. Però l’analisi del web non basta, ci serve anche un supporto normativo che ci consenta di aprire profili protetti e utilizzare le informazioni ottenute”.

Quelle “che ci mancano – ha continuato Vallone – sono specializzazioni di altissimo livello per bucare le piattaforme criptate. Nel 2022 ben il 4% di tutte le segnalazioni sospette fatte da Bankitalia è stata effettuata in criptovalute, quindi è necessario dotarci di strumenti di monitoraggio e analisi per poterle seguire in tutto il mondo visto che vengono trasportate da una parte all’altra semplicemente cedendo i codici di accesso a un wallet”.

E se questo sembra complicato, ha aggiunto il direttore della Dia, “ancora di più è indagare sugli Nft, i non fungible token che pure permettono di spostare capitali immensi con aste fittizie”. Insomma, sintetizza Vallone, “ci servono competenze che possono venire solo da chi è più bravo di noi, a partire dalle università”. Per questo “stiamo firmando protocolli con tanti atenei per formare ricercatori che domani potranno diventare base di reclutamento di forze dell’ordine di tipo qualificato, hacker ‘etici’ a disposizione delle forze dell’ordine per i quali, ovviamente, servirà una apposita normativa scriminante”.

mafie

Più semplice appare il lavoro sui social media, con cui le mafie moderne hanno imparato a comunicare il loro potere. Lo spiega Antonio Nicaso, direttore scientifico del festival e studioso delle organizzazioni criminali: “Uno dei precetti meno rispettati dalle mafie è proprio il silenzio: sono società segrete di cui tutti devono conoscere l’esistenza, altro che omertà. Hanno sempre comunicato e allora noi dobbiamo imparare a intercettare i ‘pizzini’ del nuovo millennio”.

Più nel dettaglio è entrato Marcello Ravveduto, docente dell’università di Salerno, spiegando come anche tra i mafiosi c’è una “generazione Z” che usa “tik tok” e gli “emoji”, ma con significati precisi. Ad esempio “la siringa con goccia di sangue indica fratellanza, la clessidra il tempo che per loro è importante perché ne hanno poco visto che o muoiono o vanno in galera, fiamma e fuoco per indicare forza e solidarietà e se ci mettono pure il leone vuol dire che sono pronti a fare la guerra”. E anche i mafiosi hanno i loro influencer, “che non devono promuovere marche, ma far vedere che hanno pacchi di soldi perché sono figli di un boss”, ha concluso Ravveduto.