Droga a fiumi, a Reggio Emilia la testa del serpente

30 maggio 2023 | 12:26
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Droga a fiumi, a Reggio Emilia la testa del serpente

Venti arresti nella nostra città: quasi tutti calabresi. La ‘ndrangheta reggina e crotonese aveva il principale referente nella nostra provincia

REGGIO EMILIA – Venti arresti, nella nostra provincia, all’interno di una operazione della Guardia di finanza di Bologna che ha portato al sequestro di 87 chili di droga. A finire in manette calabresi residenti in Emilia da tempo e anche un albanese. Per loro si sono aperte le porte del carcere, ma il numero di persone arrestate è stato tale che il carcere di Reggio Emilia, già in condizioni critiche come affollamento, non è stato in grado di ospitarli tutti e quindi alcuni soggetti sono finiti in carcere in altre città

Nella nostra provincia sono anche stati sequestrati denaro contante, orologi di lusso, immobili e auto. A Reggio c’era uno dei referenti più importanti della ‘ndrina “Staccu” di San Luca. Dalla nostra provincia i calabresi venivano mandati a prendere chili di droga in Calabria che poi venivano distribuiti sul mercato italiano a Milano e a Brescia.

L’accusa di associazione a delinquere è stata mossa solo al boss di San Luca, il 37enne Giuseppe Romeo, mentre gli altri indagati dovranno rispondere del reato di narcotraffico internazionale. Fra gli arrestati reggiani spicca il nome di Francesco Silipo, 35 anni, nato a Crotone e residente a Gualtieri. E’ il fratello di Salvatore Silipo che fu ucciso a 29 anni il 23 ottobre del 2021 nell’officina Dante Gomme a Cadelbosco Sopra dal suo titolare Dante Sestito di 71 anni. Non c’è alcun legame, tuttavia, fra quel fatto e questa indagine.

Nel corso dell’operazione, scattata questa mattina all’alba, sono state eseguite 41 ordinanze di custodia cautelare (37 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e un obbligo di dimora) nelle province di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma, Milano, Cremona, Brescia, Pavia, Livorno, Roma, Foggia, Potenza, Crotone e Reggio Calabria a carico di soggetti appartenenti a un’associazione a delinquere composta da italiani appartenenti o contigui alla ‘ndrangheta reggina e crotonese, dedita al traffico internazionale di cocaina, hashish e marijuana.

Oltre alle 41 ordinanze di custodia cautelare, le Fiamme Gialle bolognesi hanno sequestrato 44 immobili e terreni, 17 autoveicoli/motocicli, 354 rapporti bancari e 80 fra società, attività commerciali e partecipazioni sociali, per un valore complessivo stimato di oltre 50 milioni di euro: sono state altresì effettuate numerose perquisizioni personali e locali, tuttora in corso.

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Le misure cautelari, disposte dal Gip del tribunale di Bologna sono l’epilogo di complesse indagini di polizia giudiziaria dirette dalla Direzione distrettuale antimafia, e coordinate dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo alla luce di convergenze emerse con altri filoni investigativi delle procure della Repubblica di Firenze, Potenza e Trento e condotte, per quasi 2 anni, dagli specialisti del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna.

Grazie all’acquisizione delle chat criptate intrattenute tramite la piattaforma Sky ECC, smantellata nel 2021 a seguito di un’operazione di un Joint Investigation Team sotto l’egida di Europol, i finanzieri hanno ricostruito la struttura del sodalizio criminale e l’intera filiera dell’approvvigionamento dello stupefacente. Il leader dell’associazione è stato identificato in un soggetto, già noto alle cronache, ai vertici della ‘ndrina “Staccu” di San Luca (RC), latitante in Spagna dal 2018 e tratto in arresto a marzo 2021.

Nel periodo di latitanza, il boss ha tirato le fila di una vastissima rete di narcotraffico internazionale in grado di gestire carichi di stupefacente nell’ordine delle centinaia di chilogrammi al mese, in affari con i potentissimi cartelli sudamericani (fra cui il Primeiro Comando da Capital brasiliano e organizzazioni criminali colombiane, peruviane, messicane e boliviane) e alcuni dei più noti e pericolosi latitanti italiani.

Grazie all’incessante brokeraggio del boss, lo stupefacente, proveniente dai Paesi di produzione Sud-Americani, arrivava nei porti dell’Europa settentrionale (in particolare Anversa e Rotterdam) per essere subito dopo distribuito in tutto il vecchio Continente.

Nel corso delle indagini, sono stati ricostruiti approvvigionamenti e cessioni per quantitativi che sfiorano i 1.200 chili di cocaina, i 450 chili di hashish e i 95 kg di marijuana. Tali ingenti quantitativi di stupefacente hanno fruttato all’associazione decine di milioni di euro, parzialmente reimpiegati in 14 società intestate a prestanome e utilizzate anche per “mascherare”, in pieno periodo di lockdown pandemico, i trasporti di droga attraverso false bolle di accompagnamento.

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Un ruolo attivo e assolutamente prezioso nella sistematica opera di riciclaggio dei proventi illeciti del sodalizio criminale è stato ricoperto da una vera e propria rete di soggetti di nazionalità cinese attraverso il fei ch’ien (sistema “informale” di trasferimento di denaro). In particolare, dopo aver prelevato ingenti somme di contanti, i cittadini sinici provvedevano a inviarlo, attraverso una lunga catena di bonifici, ad aziende commerciali ubicate in Cina e Hong Kong.

Queste ultime, attraverso articolati meccanismi di “compensazione”, erano in grado di recapitare il denaro ai broker del narcotraffico e agli stessi cartelli sudamericani attraverso “agenti” residenti all’estero. Dalle indagini è emerso che, grazie al meccanismo dei fei ch’ien, l’associazione è stata in grado di ripulire più di 5 milioni di euro; due “riciclatori” cinesi sono stati colpiti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Durante le indagini sono stati inoltre arrestati, in flagranza di reato, 3 cittadini italiani e sequestrati 43 chili di cocaina, 44 chili di hashish, sostanze da taglio e frullatori utilizzati per preparare il narcotico, poco meno di 140mila euro in contanti (trovati nella disponibilità di uno dei “riciclatori” cinesi) e 10.000 prodotti contraffatti (di cui 3.200 articoli di abbigliamento recanti i marchi di famosi brand e svariate confezioni di farmaci contro la disfunzione erettile per un totale di 6.800 blister).

Di assoluta utilità per la riuscita delle indagini si è rivelata la collaborazione instaurata con l’Attaché presso l’Ambasciata statunitense a Roma dell’Homeland Security Investigations (HSI), principale branch investigativo dell’U.S. Department of Homeland Security. Il Dipartimento è responsabile delle indagini sulla criminalità transnazionale, con particolare riguardo alle organizzazioni terroristiche e malavitose che sfruttano il sistema normativo ed economico-finanziario internazionale per commettere reati. L’HSI, le cui competenze sono sovrapponibili a quelle della Guardia di Finanza, ha più volte fornito supporto di natura tecnico – investigativa e di intelligence ai militari, contribuendo a disarticolare efficacemente il sodalizio criminale.