Saman, i carabinieri in aula ripercorrono le indagini dei primi giorni

14 aprile 2023 | 15:46
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Saman, i carabinieri in aula ripercorrono le indagini dei primi giorni

Su video telecamere un punto a testa per procura e imputati

REGGIO EMILIA – Un punto messo a segno dall’accusa e uno a favore degli imputati. E’ l’esito dell’udienza che si è svolta oggi in tribunale a Reggio Emilia sull’omicidio di Saman Abbas, la 18enne pakistana scomparsa da Novellara nella notte dell’1 maggio 2021 e ritrovata cadavere lo scorso novembre sotto un casolare a pochi metri dall’abitazione dove viveva con i familiari. Gli stessi cioè (i genitori, lo zio e due cugini) accusati di averla uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato.

In particolare, per la Procura di Reggio, una prova pesante a carico dello zio della ragazza Danish Hasnain – che ha poi indicato agli inquirenti il luogo di sepoltura dei resti della giovane – e dei due cugini Ikram Ijaz e Nomanullaq Nomanullaq era un video del 27 aprile di due anni fa ripreso dalle telecamere di sorveglianza dell’azienda agricola in cui gli Abbas lavoravano. I tre venivano immortalati con attrezzi da scavo usati, secondo l’accusa, per la fossa in cui avevano deciso di nascondere Saman. Ikram Ijaz, in un interrogatorio, ha invece sostenuto che si stavano recando in un terreno dove avevano un orto privato, collocato alle spalle di un’abitazione vicina allora occupata da una famiglia cinese.

Ijaz ha sostenuto che i “vicini di casa” li avrebbero visti e lui li avrebbe persino salutati. I cinesi, escussi oggi come testimoni, hanno invece affermato di non conoscere gli imputati e di non averli mai visti prima.

Per quanto riguarda le telecamere, i difensori di zio e cugini hanno a loro volta obiettato che, quelle di una casa privata a pochi metri dall’azienda, indicavano un orario differente da quello poi “preso per buono” dagli investigatori. Le indagini compiute nei primi giorni su Saman, che allora si presumeva solo scomparsa, sono poi state ripercorse dal luogotenente Antonio Matassa, comandante del Nucleo operativo radiomobile della Compagnia dei carabinieri di Guastalla, che ha tra l’altro detto che il casolare dismesso contenente i resti di Saman fu “il primo luogo dove andammo a vedere” perché “per struttura e distanza era quello che meglio si prestava a nascondere un corpo”.

Era “un rudere, diroccato, con parti crollate, sottoposto a vincoli. Ci siamo andati con le unità cinofile, ma non ‘puntarono’ nulla”, ha spiegato Matassa. Che ha poi parlato anche di quando interrogarono il fratello minore di Saman che, così percepì il militare, ebbe un “cedimento emozionale” e dopo circa un’ora iniziò a parlare “in maniera libera” anche senza bisogno di domande. “Sembrava che si stesse liberando”, riferisce il carabiniere, precisando che da lì in avanti l’ipotesi investigativa diventò quella “dell’omicidio in ambito familiare”.

Intanto, nonostante abbia dato il suo consenso, il padre di Saman, Shabbar Abbas non si è potuto videocollegare con l’aula del tribunale reggiano, perché le autorità pakistane non hanno predisposto il videocollegamento con l’Italia. Un altro tentativo di realizzarlo si terrà nella prossima udienza del 21 aprile.