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Il publican reggiano: “Servono più eventi per far rivivere il centro”

1 aprile 2023 | 16:50
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Il publican reggiano: “Servono più eventi per far rivivere il centro”

Intervista a Luca Soncini proprietario del beer shop La Sete: “Dateci Via Ariosto pedonale. Perché il Comune non ci coinvolge direttamente per lavorare in sinergia?”

REGGIO EMILIA – Il valore del comparto della birra artigianale produce in media 500mila ettolitri l’anno e fattura oltre 250 milioni di euro, dando lavoro a 7mila addetti (fonte: Unionbirrai). Insomma la birra artigianale piace sempre di più e anche a Reggio Emilia ha il suo pubblico affezionato.

Luca Soncini è il proprietario del beer shop “La Sete” in Via Ludovico Ariosto, una meta molto gettonata dai giovani della città. Dopo una laurea, un master, 5 anni al teatro Valli, 2 anni di eventi musicali per Fotografia Europea ed una parentesi nelle risorse umane ha deciso di aprire la sua attività. Il vendere birra per lui è sì lo stipendio, ma è il percorso di un progetto di vita dedicato all’amicizia.

Come nasce l’idea di aprire un beer shop e chiamarlo La Sete?
Cosa c’è di più bello di un momento rilassante ed in amicizia quando è finita la giornata lavorativa? Per me la risposta è sempre stata bere una birra con gli amici. Ho trasformato la mia routine di piacere, condivisione e relax in un locale aperto a tutti. Fra amici dirsi “ho sete, tu?” è sinonimo d’aver voglia di uscire per vedersi davanti ad una buona birra scambiandosi idee, pareri e passando un bel momento di convivialità. Quindi “sete” mi è parsa subito la parola migliore per incarnare lo spirito del mio locale: La Sete! Pensate che qui si sono create amicizie ed anche famiglie. Poi c’è un’altra storia. Con l’amico Andrea Bassi, grande tecnico audio-video e fondatore di Rec Eventi, girammo nel 2018 i migliori pub d’Italia e, per scherzo e cialtroneria, realizzammo delle maglie con scritto “La Sete tour”, perciò anche da questo viene il nome del locale “La Sete”.

Domanda forse stupida: qual è la differenza tra un beer shop e una birreria?
La domanda è interessante, io ad esempio sono a metà tra le due cose. I beer shop sono più vicini ad un negozio dove l’articolo principale sono le bottiglie e le lattine e sono nati come ‘enoteche della birra’, quindi principalmente per l’asporto, con il tempo i clienti si sono abituati a bere anche nei loro pressi o all’interno dove i commercianti più attrezzati offrono bicchieri di plastica usa e getta per degustare il prodotto appena acquistato. Seppur partita come beer shop “puro”, La Sete ha avuto una transizione ecologica scaturita dalla sensibilità per l’ambiente. E’ stata quindi abbandonata la plastica dei bicchieri in favore di quelli in vetro tipici di un pub, abbiamo installato le spine di cui una tradizionale a pompa inglese, ampliato la distesa con vere sedute, tavolini e ritoccato gli orari serali specie nel weekend. E’ stata posta attenzione anche all’inclusività aderendo al progetto Città Senza Barriere “Non Sono Perfetto Ma Sono Accogliente” con attrezzature e strutture ex novo per agevolare chiunque ne avesse bisogno.

Perché la scelta di vendere solo birre artigianali? Cosa le differenzia da quelle dei grandi marchi?
La birra artigianale è vera birra, la birra industriale è solitamente una bevanda al gusto di birra. Sì, voglio provocare (N.d.R. ride). Lasciamo ora da parte le ‘sparate’ e parliamo seriamente: come consumatori dobbiamo tutti partire dal presupposto che, al netto del livello qualitativo, il concetto di ‘gusto buono’ purtroppo non è sempre assimilabile al concetto di genuinità assoluta del prodotto. La birra artigianale è un
prodotto vivo, un alimento a tutto tondo con ancora dentro vitamine, sali minerali e sostanze nutritive, mentre la birra industriale perde la maggior parte di questi principi per avere una omogeneità di sapore e resistenza nel tempo. E questo non è per forza un punto a favore. La birra artigianale si modifica ed evolve nel tempo come accade anche ai vini ed esattamente come quest’ultimi, in presenza di specifiche caratteristiche, si elevano. Migliorano. La birra industriale deve rispondere alle regole del mercato globalizzato e rimanere più inalterata possibile nonostante grandi trasporti e magazzini con temperature variabili ed è per questo che viene microfiltrata e pastorizzata. Quindi da una parte viene resa resistente, ma, dall’altra, le viene fatto
perdere tantissimo. Concludo chiedendo anche a me stesso: perché dovremmo andare alla ricerca di un’alimentazione sana (agricoltura biologica, allevamenti a terra non intensivi ecc…) se poi quando usciamo per una birra roviniamo tutto il bene che ci facciamo dimenticandoci di cercare quelle piccole realtà che possano garantirci la stessa eccellenza e genuinità dentro un bicchiere?

Qual è la birra più apprezzata?
La selezione che faccio alla Sete è ciclica ed a rotazione costante. Ho molti prodotti in esclusiva o a tiratura limitata. In fondo è anche un lavoro di ricerca: delle novità, dei micro produttori ecc… Ad oggi le birre più gettonate sono quelle molto luppolate (ipa, double ipa, session ipa, apa, neipa) o quelle che definisco le “sciccherie” come quelle invecchiate nelle botti di legno o quelle con aggiunta di vino. Ad esempio stasera sciaboliamo una barley wine italiana invecchiata in barrique e con aggiunta di mele cotogne. Oltre alla birra vendo whisky, gin e qualche vino naturale macerato sempre di produttori artigianali. Poi cocktail come GinTonic o WhiskySour.

Come è cambiato il centro storico in questi anni? Da negoziante cosa pensi servirebbe?
Ho deciso di aprire qui nel 2019 perché già all’epoca si sentiva parlare della possibilità di chiudere il tratto che va da Piazza del Cristo a Piazza Diaz, permettendo una passeggiata tranquilla a piedi in un piacevole tratto. Mi auguro soprattutto per Via Ariosto, che viene ritenuta da tutti una via dall’estetica “parigina”, si realizzi quello che si vocifera da tempo, ovvero la chiusura della via alle macchine ed ad altri mezzi. Ormai in Via Ariosto è certa la ZTL in ambo i sensi; segno che si vuol fare qualcosa ma speriamo che i piani a breve termine non si fermino qui e siano coincidenti con quanto appena detto altrimenti rischia di essere percepita come un’incompleta via di mezzo. Ci sono tanti esempi di città che negli ultimi tempi hanno trasformato intere vie stradali in paesaggi incredibili e vivibili. Rendendo quindi totalmente pedonale Via Ariosto potremmo permettere la cosiddetta “vasca” ai reggiani e fare molti più eventi e attività, rendendola viva e riappropriandoci degli spazi comuni. Le strade piene e vive generano una sicurezza condivisa che, se ci pensante, è molto meglio di passeggiare di notte in vicoli bui semi deserti. E’ quello che è stato già sperimentato qui con successo dal comitato ‘via Ariosto Urban Renaissance’ quando grazie all’architetto Paolo Bedogni si chiuse Via Ariosto per qualche giorno ed in modo continuativo: ci si poteva sedere in comode distese in mezzo ad aiuole verdi impreziosite da sculture artistiche. Fu davvero bello e molto gradito da chi viveva (e vive) attivamente e socialmente il centro. La Sete è al piano terra di una palazzina dove la maggior parte delle persone che la abita ha almeno un mio cliente fra i componenti del loro nucleo famigliare e mi riferiscono la loro positività alla chiusura della strada. Qualcuno di loro mi incita a fare più eventi musicali live per avere “più vita” qui in Via Ariosto chiedendomi anche di farli su tutto il marciapiede (N.d.R. ride)

Pensi che i negozianti del centro storico abbiano risentito dell’assenza di un evento a capodanno e della mancanza dei mercoledì rosa d’estate?
Se in centro città non c’è nulla di realmente attrattivo la gente – giustamente e logicamente – prende l’auto e va a cercare da altre parti gli eventi. Un ossimoro rispetto alla politica cittadina che sostiene il green ed il chilometro zero. E non si può certo dar la colpa a chi va alla ricerca di una festa o di un concerto (magari all’aperto e pure piccolo). Se si vuole essere dalla parte degli abitanti di Reggio Emilia non è togliendo momenti di socialità e festa che gli si fa sentire di volergli bene o di voler bene alla città stessa. La mancanza di eventi vuol dire mancanza di socialità, mancanza di socialità vuol dire strade vuote e strade vuote vogliono dire anche maggior senso di insicurezza. Ad esempio Reggio Emilia ha fatto un investimento enorme per diventare una città universitaria, ma, al contempo, dà quasi l’idea di non volere gli universitari: dove vanno se alle prime ore della sera hanno la sensazione di dare fastidio? Non è un bel biglietto da visita della nostra città. Questo discorso non riguarda solo gli universitari ma tutti i giovani, se il centro non dà possibilità di eventi e si viene bollati come “pericolo alla tranquillità”, dove si incontreranno gli attuali giovani che un giorno faranno una famiglia? Sui social? In altre città? Andranno quindi a vivere e lavorare poi lontano da Reggio Emilia dopo gli studi effettuati proprio da noi, disinnamorati della nostra città? Sarebbe una grossa perdita, anche umana. C’è forse quindi qualcuno che per poter stare tranquillo desidera avere dei deserti nei luoghi di incontro serali del centro di Reggio Emilia? Sarebbe un errore. Pare oltremodo chiaro che non avere un calendario accattivante per questa fascia di persone non è solo un problema per il cassetto dei commercianti dell’interno città ma anzi lo è per tutti questi ragazzi e ragazze e per la socialità stessa. Oltre che per l’immagine di Reggio Emilia: non sapete quanti fanno paragoni con le sere delle città a noi vicine.

Ma cosa fare per risolvere questo problema?
Con tanta fiducia, mi rendo disponibile a ritrovarmi al tavolo con assessori e dirigenti del Comune per discutere la direzione che vogliamo dare al centro storico per un nuovo 2023. Perché pare evidente che, ai fini positivi di tutti, serva un dialogo vis-a-vis soprattutto con la parte politica e organizzativa come già fanno, con continuità, altre città emiliane. Ho anche apprezzato il fatto che ogni tanto siano stati fatti degli eventi in centro, però perché non è stato coinvolto direttamente chi già a Reggio Emilia lavora nel settore del bere e del cibo in centro storico, che si approccia quotidianamente alla creazione di eventi interessanti ed aggreganti, esattamente come me a La Sete? Probabilmente si sarebbe potuto dare un contributo maggiore anche all’iniziativa stessa: ampliandola e strutturandola sempre lavorando in sinergia. Reggio Emilia ha le forze, le potenzialità e soprattutto ha già dentro il suo centro noi professionisti appassionati, perché il Comune non ci chiama direttamente e di buona iniziativa per pensare qualcosa veramente insieme? Fra locali del centro storico abbiamo un filo diretto che ci interconnette e saremmo più che felici di impegnarci per la nostra città, qualora ci sia – come detto – una chiamata diretta ed un dialogo attento alle dinamiche discusse fino ad ora.

D.L.D.