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Ucraina, il gelo e la sete di Mykolaiv: “Situazione tremenda, costretti a mangiare i cani”

26 novembre 2022 | 08:24
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Ucraina, il gelo e la sete di Mykolaiv: “Situazione tremenda, costretti a mangiare i cani”

Gli operatori umanitari Matteo Pisani, 37 anni, bolognese e Giacomo Ceruti, 24enne di San Donato Milanese: “La resilienza di queste persone è incredibile”

REGGIO EMILIA – “La situazione è tremenda. In un villaggio avevano una fame tale che si sono mangiati pure i cani. E’ tutto rotto. Tutto. Case, scuole, edifici governativi, strade, pali della luce, acquedotto. Non c’è luce, non c’è acqua, non c’è riscaldamento, non c’è internet. Non capisco. Capisco solo che la guerra è una m…”.

Matteo Pisani, 37 anni, fisioterapista di Bologna, è a Mykolaiv, nel sud dell’Ucraina a un centinaio di chilometri a est di Odessa, da due settimane. Fa parte della Papa Giovanni XXIII che, insieme ad altre realtà e associazioni, organizza le carovane di aiuti di Stopthewarnow. In particolare Matteo, insieme a Giacomo Ceruti, un 24enne di San Donato Milanese, è nella città ucraina con i volontari dell’Operazione Colomba, il corpo di pace dell’associazione Papa Giovanni XXIII (Foto e video di Matteo Pisani).

Racconta Matteo, che era già stato qui a fine giugno con la carovana della pace: “Noi siamo tra i più fortunati, perché abbiamo l’acqua, dato che ci sono i dissalatori. Abbiamo la caldaia a legna e quindi il riscaldamento non ci manca. In giro, invece, la situazione è complessa. Le code per l’acqua ci sono sempre. Così come quelle per la distribuzione di cibo e di aiuti. Tante persone non hanno più il lavoro, gli stipendi sono ridotti e molte attività economiche sono chiuse”.

Il problema della mancanza di elettricità sta colpendo anche Mykolaiv e, con essa, arriva ovviamente anche la mancanza di riscaldamento. Continua il 37enne bolognese: “Qua abbiamo -2-3 gradi di notte, ma peggiorerà, perché ci hanno detto che a gennaio si arriverà anche a -20, 30 gradi. La gente è senza luce e senza riscaldamento, in particolare nei quartieri periferici. Ma la situazione è ancora più drammatica fuori da Mykolaiv. Siamo stati in un paio di villaggi liberati da poco. Fra questi a Shyroke dove hanno vissuto sei mesi sotto l’occupazione russa e la situazione è allo sfacelo più totale. Non c’era una casa che non avesse i segni di un bombardamento: da quelle completamente distrutte, a quelle con il muro crivellato di proiettili e bucate dai razzi. Lì continuano a vivere delle persone, compreso delle famiglie con i bambini. Ci hanno raccontato che avevano una fame tale che si erano mangiati pure i cani. La prima volta che hanno portato gli aiuti umanitari le persone li hanno aperti subito e mangiati sul posto con le mani”.

ucraina

I bombardamenti, per fortuna, sono iniziati a scemare a Mykolaiv, ora che il fronte si è spostato poco più in là di Kherson che, recentemente, è stata conquistata dagli ucraini dopo che i russi si sono ritirati. Dice Matteo: “Da quando ci sono io gli allarmi suonano raramente e di esplosioni ne abbiamo sentite poche. Ieri l’altro c’è stato un boato, ma c’era chi diceva che era la contrarerea che aveva sparato. Al momento sembra che Mykolaiv non sia presa particolarmente di mira. Siamo qui nel rifugio, che è un ex centro di recupero per alcolisti e tossicodipendenti, che ospita persone dai 10 ai 60 anni. Grazie alla rete di Stopthewarnow ricevono aiuti che poi vengono portati nei villaggi”.

Matteo passa poi a parlare di cosa pensa la gente di un eventuale accordo di pace. Continua: “E’ sempre molto complesso parlare di queste cose, perché tocchi un tema che passa dalla pancia più che dalla testa. La nostra impressione è che la voce della maggioranza si esprima per continuare il conflitto e non fermarsi in questa situazione. Magari non entrano nello specifico e non dicono fino a dove si deve arrivare come confini. Poi qualche voce fuori dal coro c’è. In tanti qua hanno studiato in Russia o hanno parenti e amici”.

Insieme a lui c’è anche Giacomo che aveva già partecipato alla carovana di Stopthewarnow di fine giugno e che ha deciso di tornare Mykolaiv, dove si trova da circa un mese con l’operazione Colomba. Racconta: “La prima settimana che ero qui bombardavano parecchio. Io stavo accompagnando una persona del centro a casa sua e, a un certo punto, sono caduti quattro missili uno dopo l’altro. Siamo tornati velocemente al rifugio. Il giorno dopo, mentre facevamo le distribuzioni all’aperto con 500 persone in fila, sono arrivati altri tre missili. La cosa più impressionante è che la gente non ci faceva nemmeno una piega”.

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Con tante settimane passate insieme alla gente di Mykolaiv è inevitabile parlare e confrontarsi. Dice Giacomo: “Ti dicono che hanno molti amici e conoscenti che sono in battaglia e che hanno partecipato ad alcuni funerali. Ho conosciuto uno che ha una moglie russa e che ha studiato in Russia. Mi ha detto che là la gente non sa quello che succede qua, che non c’è liberta di opinione e che non puoi fare nulla. Mi ha colpito quando mi ha detto: ‘Con tutta questa sfortuna, sono grato di essere da questa parte del conflitto'”.

Una quotidianità difficile, quasi inimmaginabile per noi, come sempre accade in tempo di guerra. Conclude Giacomo: “Quasi tutti lavoravano nel porto che, attualmente, è chiuso. Così non hanno nulla da fare. La maggior parte delle persone passa la sua giornata cercando di registrarsi in qualche punto della città. Si vedono ovunque code di gente che fa la fila. La loro principale preoccupazione è procurarsi cibo e acqua. Vedi queste file interminabili di persone, soprattutto anziani, che si portano via i boccioni d’acqua con una fatica enorme. La resilienza di queste persone è incredibile”.

La scuola di Shyroke