Precari e con paghe basse: l’Emilia-Romagna non è terra per giovani

17 novembre 2022 | 09:34
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Precari e con paghe basse: l’Emilia-Romagna non è terra per giovani

La ricerca dell’istituto Cattaneo: 15-34enni sono in grande svantaggio. “Il salario minimo serve”

REGGIO EMILIAPrecari, spesso con contratti di breve durata e con salari tra i più bassi. Dalla fotografia scattata dall’Istituto Cattaneo, l’Emilia-Romagna non appare certo una regione felice per giovani e giovanissimi dal punto di vista occupazionale. La ricerca, commissionata dalla Regione Emilia-Romagna e presentata oggi in Salaborsa a Bologna, aveva l’obiettivo di approfondire “l’impatto dell’evoluzione demografica emiliano-romagnola sul sistema produttivo e sui percorsi lavorativi e di vita delle nuove generazioni” negli ultimi decenni.

Dalle oltre 200 pagine di analisi e tabelle emerge, senz’altro, come l’Emilia-Romagna si confermi una delle regioni più attrattive d’Italia, soprattutto rispetto agli universitari. Ma le indagini dedicate al mercato del lavoro restituiscono un quadro a tinte decisamente più fosche. “La composizione della disoccupazione rivela chiaramente una elevata concentrazione fra i giovanissimi”, si legge nella ricerca, cioè per i ragazzi tra i 15 e i 24 anni. Nella stessa fascia di età, inoltre, “la concentrazione di lavoratori a basso salario è estremamente elevata” ed è “stabilmente attorno al 40% dei giovani lavoratori presenti”.

A questo si lega il fenomeno della precarietà. In Emilia-Romagna, scrivono i ricercatori del Cattaneo, “si rileva l’elevatissima concentrazione, oltretutto crescente negli anni, nelle due fasce dei lavoratori 15-24enni e dei 25-34enni. Fra i primi il lavoro precario arriva negli ultimi anni a riguardare il 70% degli occupati: un dato decisamente impressionante”. Il 40% dei rapporti a tempo determinato dura meno di un anno, un altro 40% dura meno di sette mesi. “Con una intensità maggiore che altrove- rileva il Cattaneo- il lavoro precario in Emilia-Romagna si connota per essere di breve o brevissima durata, quindi altamente instabile e marginale, oltre che insicuro e sottopagato”.

In parallelo in Emilia-Romagna aumentano anche i ‘Neet’, cioè i ragazzi che non studiano e non lavorano: sono il 13% dei giovani 15-24enni, contro il 15% del Nord Italia e il 20% in media in Italia. “Il che costituisce senza dubbio una nota positiva- analizza il Cattaneo- la nota meno positiva è data dal fatto che in Emilia-Romagna dal 2004 al 2020 i ‘Neet’ crescono di quasi quattro punti percentuali. Si tratta di una crescita inferiore a quella registrata nel resto delle regioni del Nord, ma rappresenta comunque un ‘recupero’ non certo di buon auspicio per le condizioni occupazionali e sociali emiliano-romagnole”.

Più in generale, mette in guardia il Cattaneo, “lo svantaggio dei giovanissimi è notevole, a segnalare la condizione di pesante incertezza economico-salariale vissuta dai giovani lavoratori emiliano-romagnoli”. Si tratta di un “problema che richiama l’attenzione di coloro che sono deputati a intervenire sulle politiche salariali e di mercato del lavoro”, dice chiaro e tondo l’istituto.

Il dibattito nazionale “sta considerando seriamente l’opzione rappresentata dalla fissazione di soglie salariali minime di legge- rimarcano ancora i ricercatori- si tratta di una policy da tenere assolutamente in considerazione, anche per eventuali aggiustamenti di tali minimi a livello regionale. Sicuramente, interventi che vedessero l’introduzione di forme di salario minimo sarebbero di aiuto per questi gruppi di giovani”.

In Emilia-Romagna, rileva ancora il Cattaneo, “la densità dei contratti a termine è più elevata” rispetto al resto del Paese: si parla del 18% nel 2018, sceso poi al 13% nel 2020. Il lavoro flessibile, peraltro, “si concentra in base a caratteristiche di età e di genere: giovani e giovani donne sono quindi i più esposti al rischio di restare senza lavoro”. E questo produce “innegabili e noti effetti” sulla nascita di nuove famiglie.