Mafie, operazione Radici: una perquisizione e 4 società sequestrate

26 ottobre 2022 | 15:09
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Mafie, operazione Radici: una perquisizione e 4 società sequestrate
Mafie, operazione Radici: una perquisizione e 4 società sequestrate
Mafie, operazione Radici: una perquisizione e 4 società sequestrate
Mafie, operazione Radici: una perquisizione e 4 società sequestrate

Gli indagati spolpavano le società tramite sistematiche evasioni fiscali

REGGIO EMILIA – Gli inquirenti l’hanno chiamata in codice “Radici”: l’inchiesta prende le mosse dal monitoraggio di importanti investimenti immobiliari e societari riconducibili a persone di origine calabrese e da qui si è arrivati a far luce sulle presunte infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia Romagna di organizzazioni criminali di stampo mafioso calabresi.

Anche la provincia di Reggio Emilia è stata coinvolta dato che, sul nostro territorio, c’è stata una perquisizione in città e 4 sequestri di società nel settore del packaging e della logistica. L’operazione ha visto sequestri per 27 milioni di euro e 23 misure cautelari eseguite (quattro custodie in carcere, tre arresti domiciliari e 16 obblighi di dimora a carico di persone affiliate alle ‘ndrine di ‘ndrangheta dei Piromalli di Gioia Tauro e dei Mancuso di Limbadi). Al termine delle indagini, iniziate durante la pandemia, sono stati controllati oltre 100 conti correnti intestati a 15 persone, intercettate 64 utenze, a cui se ne aggiungono tre intercettate tramite trojan e una casella e-mail e sono stati sentiti sette collaboratori di giustizia.

Questi, in sintesi, i numeri dell’operazione ‘Radici’, condotta dal Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Bologna, con il supporto dello Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) e la direzione della Procura bolognese.

Tra le misure disposte dal gip di Bologna Domenico Truppa su richiesta del pm della Dda Marco Forte spicca la custodia cautelare in carcere per il 34enne Francesco Patamia, candidato alla Camera nelle ultime elezioni con la lista Noi moderati di Maurizio Lupi nel collegio di Piacenza. Patamia, secondo gli investigatori, sarebbe stato l’amministratore di fatto di una delle società coinvolte nell’inchiesta, che conta 34 indagati accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio, bancarotta fraudolenta, usura, lesioni personali, minacce ed estorsione.

Le misure cautelari, che hanno interessato le province di Roma, Milano, Brescia, Bologna, Monza, Modena, Piacenza, Forlì-Cesena, Reggio Emilia, Vibo Valentia e Reggio Calabria, sono state eseguite da un centinaio di militari del Comando provinciale di Bologna, con l’aiuto di personale dei Comandi di Milano, Forlì-Cesena, Reggio-Calabria, Vibo Valentia e Chieti.

L’indagine, spiegano in conferenza stampa il comandante regionale delle Fiamme gialle dell’Emilia-Romagna Ivano Maccani, il comandante provinciale di Bologna Carlo Levanti e il comandante del Nucleo di Polizia economico-finanziaria bolognese Fabio Ranieri, ha preso le mosse dal monitoraggio di “cospicui investimenti immobiliari e societari riconducibili a soggetti di origine calabrese”, portando alla luce “infiltrazioni nel tessuto socio-economico dell’Emilia-Romagna in particolare le province di Forlì-Cesena e Rimini, ma anche Modena e Reggio Emilia, da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso radicate in Calabria”.

Gli investimenti illeciti, molti dei quali avvenuti in piena emergenza Covid, “hanno riguardato esercizi commerciali soprattutto del litorale romagnolo e aziende operanti nei settori dell’edilizia, della ristorazione e dell’industria dolciaria”. Gli accertamenti hanno quindi fatto emergere “la presenza, nel territorio regionale di piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da un ‘boss-manager'” e tutti legati, pur gestendo con una certa autonomia i loro affari, a “diverse famiglie e mandamenti della ‘casa madre’ in Calabria, spesso menzionati nelle conversazioni intercettate”.

Le indagini, ricostruiscono i finanzieri, hanno fatto emergere “un vorticoso giro di aperture e chiusure di società intestate a prestanome, che venivano usate per riciclare denaro mediante sistematiche evasioni fiscali, perpetrate per lo più attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, spesso preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di vere e proprie distrazioni patrimoniali” (in pratica, le società venivano ‘spolpate’). Tutto questo è stato possibile anche grazie all’aiuto di un commercialista e di un avvocato, entrambi interdetti per 12 mesi dall’esercizio della professione.

Oltre ai reati di natura economica e finanziaria, sono stati documentati “ripetuti episodi di intimidazione, minacce e, in alcuni casi, vere e proprie violenze ai danni degli imprenditori che si sono rifiutati di aderire alle richieste” del sodalizio criminale. Tra le vittime di minacce e di aggressioni non ci sono però solo degli imprenditori, ma anche dei pubblici ufficiali, ad esempio degli agenti di Polizia locale e il dipendente di una società appaltatrice di Hera in un Comune romagnolo. Proprio la denuncia di questi episodi da parte del sindaco di quel Comune è stata una delle ‘molle’ che hanno fatto scattare l’indagine, unitamente alla stranezza, rilevata dai finanzieri, dei cospicui investimenti fatti in piena emergenza Covid, che hanno ovviamente insospettito gli investigatori.