Editoriali

Lo tsunami Meloni e il suicidio (in)volontario del Pd

26 settembre 2022 | 15:01
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Lo tsunami Meloni e il suicidio (in)volontario del Pd

Stupisce la mancata alleanza con i Cinque stelle a fronte di una legge elettorale che favorisce le alleanze. Viene da pensare che il senso di responsabilità dei Dem sia venuto meno in cambio di un certo numero di anni all’opposizione per rigenerarsi

REGGIO EMILIA – Lo tsunami Giorgia Meloni ha investito pure l’Emilia-Romagna e, seppure in tono minore, anche la nostra provincia. Il Pd è al 28% in Regione e Fdi lo tallona al 25%: un risultato impensabile fino a poco tempo fa. A Reggio il dato di Fdi si attesta sul 20%, ma è comunque altissimo tenendo conto che il partito di Giorgia Meloni alle elezioni del 2018 aveva preso il 3% nella nostra provincia. Il centrodestra fa incetta di seggi in Emilia-Romagna. Resistono all’uninominale, a fatica, nella nostra provincia, Ilenia Malavasi e Vincenza Rando (per un soffio quest’ultima, ndr).

Da sottolineare come, nel nostro territorio, i candidati del centrodestra abbiano stravinto in tutti i Comuni della nostra montagna, a testimonianza di come i territori lontani dai grandi centri abitati regalino meno soddisfazioni al centrosinistra (ma a questo risultato non è estranea la chiusura del centro nascite di Castelnovo Monti, ndr) che, evidentemente, non è in grado di rappresentare al meglio queste realtà.

Quello che, comunque, impressiona, anche se era facilmente preventivabile, è l’affermazione nei collegi uninominali del centrodestra in Italia. Su 221 seggi attribuiti con questo sistema, ben 182 sono andati a Fdi, Lega e Fi. Circa l’82%. E’ l’effetto delle mancate alleanze fra le forze del centrosinistra che hanno portato a dividere il voto e ad assegnare la vittoria al centrodestra che si è presentato unito. Il Rosatellum, imposto dal Pd a guida Renzi, premia infatti le alleanze.

E qui arriviamo al cuore del problema di questa tornata elettorale. Il segretario del Pd, Enrico Letta, che oggi ha detto che lascia e non si ripresenterà segretario al prossimo congresso, ha portato avanti una campagna elettorale poco brillante. Evidentemente non ha fatto sufficiente presa il fatto di chiamare gli elettori al duello contro la leader di Fratelli d’Italia: sull’antifascismo, sull’idea di Europa, sui diritti civili, sull’ambiente.

Ma, soprattutto, non ha voluto un’alleanza con il M5S e non è riuscito a stringerla con Italia Viva ed Azione. Vero che questi ultimi hanno strappato dopo l’accordo stretto fra Pd e Sinistra e Verdi, ma la responsabilità di non aver fatto un accordo con i Cinque Stelle, ricade tutta sul segretario Pd.

Difficile fare accordi con una forza politica che aveva fatto cadere il governo Draghi e si era mostrata spesso inaffidabile, direte voi. Sì, è vero, ma era l’unica strada percorribile per non consegnarsi ad una sconfitta ampiamente annunciata, anche considerando l’impianto elettorale di una legge voluta, ironia della sorte, proprio dal Pd guidato da quel Matteo Renzi che, a suo tempo, fece fuori Enrico Letta. Con il suo 15% il M5S avrebbe sicuramente dato una grossa mano in molti collegi uninominali a Pd e Sinistra e Verdi, impedendo o limitando molto l’affermazione del centrodestra.

E’ difficile pensare che una scelta del genere, da parte di Letta, sia stata solo dovuta ad antipatie nei confronti di Conte e alla inaffidabilità del M5S. In politica si è visto di tutto e, fra l’altro, bisogna considerare che il Pd aveva governato con Conte quando era premier. Più facile ipotizzare che il Partito democratico si sia stancato di dare il sangue ad ogni alleanza ed essere l’architrave di ogni tipo di governo. Viene quasi da pensare che il senso di responsabilità dei Dem sia venuto meno in cambio di un certo numero di anni all’opposizione per rigenerarsi.

Del resto sarebbe comprensibile dopo 10 anni di governi responsabili. Fra l’altro bisogna considerare che l’autunno che arriverà sarà tremendo con i costi dell’energia alle stelle e una guerra in Europa. I miliardi del Pnrr, inoltre, sono ancora in gran parte da spendere e non sarà facile rispettarne le tempistiche dettate dall’Europa. Letta potrebbe aver pensato che, alla fin fine, è giusto anche che la Meloni, dopo anni di lucrosi vantaggi all’opposizione, si diletti nell’arte di governo. Non sarà facile per la prima donna premier nella storia della Repubblica: i compagni di strada Salvini e Berlusconi potrebbero non garantirle di dormire sonni tranquilli.

Paolo Pergolizzi