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Mafie, azienda interdetta rientra nella white list di Bologna

30 giugno 2022 | 18:33
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Mafie, azienda interdetta rientra nella white list di Bologna

Ribaltata la sentenza del Tar contro esclusione decisa dal prefetto

REGGIO EMILIA – Una ditta di “autotrasporto di cose per conto terzi e movimentazione di terra” in odore di ‘ndrangheta, rientra nella white list della Prefettura di Bologna. Il Consiglio di Stato, infatti, ha ribaltato il verdetto del Tar felsineo che aveva respinto il ricorso dell’azienda contro il provvedimento prefettizio di esclusione. L’azienda – capitale sociale 10.000 euro – ha come soci due fratelli uno dei quali, titolare del 20% delle quote, è stato condannato nel 2012 dal Tribunale di Reggio Emilia per mancato versamento di ritenute previdenziali e assistenziali ed è stato dipendente fino al 2005 di una società amministrata da un cugino, poi raggiunta nel 2008 da un’interdittiva emessa dalla Prefettura di Crotone.

Stando agli accertamenti svolti dalla Prefettura bolognese, infine, l’uomo si sarebbe accompagnato in varie occasioni con pregiudicati per reati di criminalità organizzata, tra cui “un affiliato di primissimo piano alla cosca nonché referente per l’area della città di Reggio Emilia e dintorni per conto della consorteria mafiosa calabrese”.

Incontri che il giudice di primo grado aveva giudicato “irrilevanti” siccome “occasionali e datati”, ritenendo invece provato “l’affermato rischio di infiltrazione mafiosa in ragione della rete dei rapporti familiari che legano i soci ad ambienti della criminalità organizzata calabrese”. La sentenza del Tar è stata impugnata dalla società e il Consiglio di Stato si è espresso lo scorso 22 giugno (il provvedimento è stato pubblicato oggi).

Per i giudici “l’appello è fondato e, pertanto, va accolto” perché “in definitiva, il quadro indiziario tratteggiato dall’informativa prefettizia pur costituito da un’obiettiva base di partenza, non risulta adeguatamente approfondito nelle sue possibili implicazioni di guisa che, allo stato, il risultato probatorio raggiunto non può dirsi sufficiente ad accreditare il teorema su cui riposa il provvedimento ablatorio”. L’amministrazione infatti “avrebbe comunque dovuto approfondire” alcuni temi “decisivi”, come ad esempio “l’origine dei capitali che hanno consentito alla società appellante di essere costituita e di operare”. In riforma della decisione appellata, “s’impone l’annullamento degli atti impugnati in primo grado, con salvezza degli ulteriori provvedimenti, sulla base di una rinnovata istruttoria”, conclude la sentenza.