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Processo Aemilia, Libera mette in mostra i beni confiscati

7 marzo 2022 | 17:02
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Processo Aemilia, Libera mette in mostra i beni confiscati

Sono 288 fra Modena, Reggio e Parma raccolti in un dossier per l’anniversario della legge 109

REGGIO EMILIA – Case, ville, terreni, capannoni e garage: sono precisamente 288 (i dati risalgono all’autunno del 2021) i beni confiscati alla ‘ndrangheta nelle province di Modena, Reggio Emilia e Parma, nell’ambito del maxi processo Aemilia e degli altri procedimenti giudiziari che ne sono scaturiti. A spiegarne “bene” storia e caratteristiche, ma anche opportunità di riuso a fini sociali è un apposito dossier di Libera Emilia-Romagna, realizzato con un confinanziamento della Regione e pubblicato oggi in occasione del 26esimo anniversario dell’approvazione della legge 109 del 1996 per restituire alle comunità il patrimonio frutto degli affari criminali delle mafie.

Uno strumento utile anche per enti locali o altri potenziali gestori (associazioni, cooperative etc) che, come dimostrano le statistiche sulla partecipazione ai bandi di assegnazione, non sono spesso troppo informati. In provincia di Reggio Emilia, epicentro dell’attività della cosca Grande Aracri, i beni confiscati sono nello specifico 95, la maggior parte dislocata tra Montecchio Reggiolo e Brescello.

I destinatari delle misure di confisca sono tutti personaggi noti all’interno del maxiprocesso alla ‘ndrangheta emiliana: Giuseppe e Giulio Giglio, Carmine Belfiore, i fratelli Silipo, i fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, i Diletto. Molti dei luoghi confiscati nella provincia reggiana, inoltre, erano quelli in cui il mondo mafioso si univa al mondo imprenditoriale e politico del territorio, a partire dal Ristorante Millefiori. A Modena i 14 beni confiscati si concentrano per lo più a Finale Emilia, Comune che nel 2016 evitò per un soffio lo scioglimento per infiltrazioni mafiose (sorte toccata invece a Brescello). Appartenevano ai fratelli Giglio, ad Alfonso Diletto (detto “la scimmia”) e a società riconducibili ad Augusto Bianchini.

Si tratta di tre unità immobiliari nel comune di Modena e terreni e fabbricati tra San Felice sul Panaro e Finale Emilia. Infine i beni confiscati nell’ambito di Aemilia a Parma sono 179, 144 nel solo comune di Sorbolo (teatro di una maxi speculazione immobiliare orchestrata dal clan). La maggior parte dei beni sono infatti stati confiscati alle società coinvolte nel cosiddetto “affare Sorbolo”, l’immenso investimento immobiliare portato alla luce in Aemilia nel 2015.

Gli altri beni – in tutta la provincia 20 terreni e 154 tra immobili, garage e capannoni – sono stati confiscati a Parma, Montechiarugolo, Soragna e Busseto. “I beni, come ripetiamo da anni sono l’attestazione più evidente dell’attività criminale su un territorio”, spiega Antonio Monachetti, responsabile del settore beni confiscati di Libera Emilia-Romagna. “Le organizzazioni mafiose hanno necessità di investire, riciclare, accrescere il proprio potere economico attraverso gli investimenti e, nel percorso di radicamento e controllo sociale, di ostentare tali ricchezze”.

Tuttavia, conclude Monachetti “ci sono però contesti, come quello emiliano-romagnolo, nei quali il dato quantitativo dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose non è rappresentativo dell’effettivo radicamento delle stesse”. Sofia Nardacchione, responsabile del settore informazione di Libera, aggiunge: “Raccontare questi beni confiscati significa raccontare le modalità di infiltrazione e radicamento delle mafie in regione quindi il passato e la storia di quei luoghi”. Ma “può voler dire raccontare anche il presente o il futuro: le possibilità di riutilizzo a fini sociali o istituzionali, di beni che possono tornare ad essere luoghi della comunità”.