Mafie, Grimilde: ecco come la cosca usava i “colletti bianchi”

7 febbraio 2022 | 14:53
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Mafie, Grimilde: ecco come la cosca usava i “colletti bianchi”

Ad un consulente furono estorti 20mila euro: glieli prestò la compagna

REGGIO EMILIA – A volte ingaggiati con modi “educati, gentili e rispettosi” e poi costretti a chinare il capo con la violenza. In altri casi più controversi, disposti ad accettare gli incarichi loro affidati perché attratti dalla prospettiva di facili guadagni. Così i cosiddetti “colletti bianchi” con cui la ‘ndrangheta “affaristica” presente in Emilia si presentava in banca a chiedere prestiti, finanziamenti, mutui e fidejussioni. Uno spaccato di questa realtà è emerso oggi, nella nuova udienza del processo “Grimilde” in corso a Reggio Emilia.

Come testimoni del pubblico ministero Beatrice Ronchi sono stati chiamati a deporre due intermediatori creditizi che Salvatore Grande Aracri (soprannominato “il calamaro” per la sua indole tentacolare in diversi campi di attività), figlio maggiore di Francesco e nipote del boss Nicolino, coinvolse in una serie di operazioni per tutelare ed espandere il patrimonio suo e della famiglia. Uno di questi professionisti fu messo in tale stato di soggezione – “piangeva, non voleva alzarsi dal letto ed evitava di andare in ufficio”, racconta la sua compagna anche lei sentita in aula – che dovette chiedere alla donna 20.000 euro per riacquistare la serenità. Soldi versati sull’unghia e mai restituiti perchè “problemi non se ne volevano”.

I fatti risalgono al 2019, quando il consulente fu contattato da Salvatore Grande Aracri e dal padre Francesco per almeno tre iniziative d’impresa. La prima era un finanziamento di sei milioni chiesto in banca per la costruzione di 76 villette a Parma, nella zona del campus universitario, che un’azienda intranea alla consorteria avrebbe realizzato. Progetto che sfumò perché l’istituto di credito – il Credit agricole – stoppò l’erogazione.

Il “calamaro” aveva intanto presentato al mediatore finanziario due “amici” di Verona la cui azienda (la Euritalia) aveva bisogno di liquidità. In questo caso, poiché la pratica in banca si stava protraendo troppo, al professionista fu intimato di “anticipare” la somma che aveva promesso di poter ottenere. Questo con continui messaggi, visite in ufficio, e un’aggressione davanti ad un bar quando fu preso a schiaffi e gli furono tolti i braccialetti d’oro a titolo di “garanzia”. Fu la compagna dell’uomo a chiudere la vicenda, prestandogli i soldi ma senza sporgere denuncia.

Al mediatore, in un’altra occasione, furono di fatto estorti altri 31.000 euro (di cui circa la metà in contanti) nell’ambito di una fantomatica operazione di acquisto di carburante, per cui fu chiesto un finanziamento di 6 milioni, di cui la grossa azienda che compariva come venditrice non sapeva nulla. “Di idee ne avevano molte”, ha detto il testimone, citando ad esempio un’operazione immobiliare in provincia di Vicenza e il progetto di gestione di un punto carni a Calerno, tra Parma e Reggio Emilia.

L’altro mediatore creditizio chiamato al banco dei testimoni è Isauro Bonacini, prosciolto dalle accuse nel rito abbreviato di Grimilde, in cui la Procura aveva chiesto per lui una pena di sei mesi. Tra il 2012 e il 2013 Bonacini istruì prima la pratica per un mutuo intestato alla figlia di Francesco Grande Aracri Rosita, che la banca rifiutò. Poi quella per una coppia che avrebbe dovuto acquistare una villetta costruita da una società edile della famiglia. Il Pm ha contestato al testimone – che si è trincerato dietro una sfilza di “non ricordo” – di aver alterato dietro compenso le buste paga degli acquirenti, indicati fittiziamente come dipendenti di altre aziende dei Grandi Aracri. I due compratori, è emerso dalle indagini, non erano nemmeno una vera coppia. In una telefonata intercettata in vista dell’appuntamento con la banca Bonacini si raccomandava infatti che i “ragazzi” non “commettessero strafalcioni” (fonte Dire).