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Covid, Gimbe: “Nell’ultima settimana quasi il 20% in più di contagi e morti”

16 dicembre 2021 | 18:26
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Covid, Gimbe: “Nell’ultima settimana quasi il 20% in più di contagi e morti”

Aumentano anche i casi attualmente positivi, le persone in isolamento domiciliare e i ricoverati

ROMA – Il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe rileva nella settimana 8-14 dicembre 2021, rispetto alla precedente, un aumento di nuovi casi (124.568 vs 105.771, pari a +17,8%) e decessi (663 vs 558, +18,8%, di cui 21 riferiti a periodi precedenti). In aumento anche i casi attualmente positivi (297.394 vs 240.894, +56.500, pari a +23,5%), le persone in isolamento domiciliare (289.368 vs 234.040, +55.328, pari a +23,6%), i ricoverati con sintomi (7.163 vs 6.078, +1.085, pari a +17,9%) e le terapie intensive (863 vs 776, +87, pari a +11,2%).

Il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, dichiara che “da due mesi continuano ad aumentare i nuovi casi con una media mobile a sette giorni che passa da 2.456 il 15 ottobre a 17.795 il 14 dicembre”. Incrementano nettamente i rapporti positivi/persone testate (da 3,6% a 23,9%), positivi/tamponi molecolari (da 2,4% a 9,5%) e positivi/tamponi antigenici rapidi (da 0,07% a 0,81%). In tutte le regioni, ad eccezione di Friuli-Venezia Giulia, Molise e provincia autonoma di Bolzano, si rileva un incremento percentuale dei nuovi casi: dal 4,4% dell’Abruzzo al 94,8% della Basilicata.

In 26 province l’incidenza supera i 250 casi per 100.000 abitanti: Trieste (601), Treviso (573), Bolzano (568), Padova (552), Vicenza (541), Imperia (450), Venezia (434), Rimini 411), Verbano-Cusio-Ossola (361), Pordenone (346), Gorizia (332), Forlì-Cesena (330), Ravenna (321), Verona (320), Rovigo (298), Aosta (290), Savona (288), Ferrara (287), Belluno (286), Reggio nell’Emilia (285), Bologna (268), Varese (267), Trento (265), Monza e della Brianza (260), Mantova (253) e Biella (252).

In aumento anche i decessi: 663 negli ultimi sette giorni (di cui 21 riferiti a periodi precedenti), con una media di 95 al giorno rispetto agli 80 della settimana precedente. La responsabile ricerca sui servizi sanitari della Fondazione Gimbe, Renata Gili, afferma che “sul fronte ospedaliero aumentano ancora i posti letto occupati da pazienti Covid: +17,9% in area medica e +11,2% in terapia intensiva rispetto alla settimana precedente”. A livello nazionale, al 14 dicembre, il tasso di occupazione da parte di pazienti Covid è dell’11,9% in area medica e del 9,5% in area critica, con notevoli differenze regionali: la provincia autonoma di Bolzano supera la soglia del 15% in area medica (17,2%) e del 20% in area critica (22%); le soglie del 15% per l’area medica e del 10% per l’area critica risultano entrambe superate in Calabria (19,4% area medica e 11,0% area critica), Friuli-Venezia Giulia (24,5% area medica e 16,0% area critica), Liguria (17,0% area medica e 12,2% area critica) e provincia autonoma di Trento (19,7% area medica e 20,0% area critica). Inoltre, per l’area medica si colloca sopra la soglia del 15% la Valle d’Aosta (21,2%), mentre per l’area critica superano la soglia del 10% Emilia-Romagna (10,3%), Lazio (12,0%), Marche (14,4%), Molise (10,3%) e Veneto (13,3%).

Nonostante l’aumentata pressione sugli ospedali, nelle ultime settimane si è progressivamente ridotta la percentuale dei pazienti ricoverati in area medica e in terapia intensiva sul totale degli attualmente positivi. In particolare, per l’area medica la media mobile a 7 giorni è scesa dal 3,47% del 7 novembre al 2,41% del 14 dicembre e per le terapie intensive dallo 0,47% del 21 ottobre allo 0,30% del 14 dicembre. Cartabellotta spiega che “a fronte di un numero di tamponi sostanzialmente stabile, questo dato è verosimilmente da imputare all’incremento delle terze dosi, che riportano l’efficacia a valori più elevati“. Il direttore operativo della Fondazione Gimbe, Marco Mosti, precisa che “sul fronte delle terapie intensive preoccupa tuttavia l’aumento degli ingressi giornalieri: la media mobile a sette giorni sale a 70 ingressi/die rispetto ai 59 della settimana precedente”.

Capitolo vaccini: per quanto riguarda le forniture, al 15 dicembre (aggiornamento ore 06.18) risultano consegnate 106.054.901 dosi. Mosti commenta che “con solo 874mila dosi consegnate negli ultimi sette giorni e l’attuale ritmo delle somministrazioni, calano le scorte di vaccini a mRNA“. Sul repository ufficiale risultano disponibili 1,2 milioni di dosi di Pfizer e 2 milioni di dosi di Moderna, ma la rendicontazione di queste ultime non tiene conto che per i richiami viene utilizzata solo mezza dose: pertanto le dosi disponibili potrebbero essere molte di più. Mosti aggiunge che “in tal senso è indispensabile conteggiare le dosi effettive impiegate del vaccino Moderna e modificare le modalità di rendicontazione”.

Sul fronte delle somministrazioni, al 15 dicembre (aggiornamento ore 06.18) l’80,5% della popolazione (n. 47.696.102) ha ricevuto almeno una dose di vaccino (+218.456 rispetto alla settimana precedente) e il 77,6% (n. 45.975.355) ha completato il ciclo vaccinale (+144.773 rispetto alla settimana precedente). In aumento nella settimana 6-12 dicembre il numero di somministrazioni (n. 3.272.324), con una media mobile a sette giorni di oltre 460mila somministrazioni al giorno: crescono dell’8,8% le terze dosi (n. 2.903.412) e del 5,8% i nuovi vaccinati (n. 236.606). I target definiti dalla struttura commissariale nel periodo 8-14 dicembre sono stati sempre superati, fatta eccezione per l’8 dicembre: complessivamente sono state somministrate 383.359 dosi in più rispetto alle 2.850.000 previste. Nella settimana 6-12 dicembre il numero dei nuovi vaccinati è salito a 236.606 (+5,8%) rispetto ai 223.116 della settimana precedente. Sono tuttavia ancora quasi 6,4 milioni le persone senza nemmeno una dose, tra cui preoccupano da un lato 2,45 milioni di over 50 ad elevato rischio di malattia grave e ospedalizzazione, dall’altro 1,02 milioni nella fascia 12-19 anni che aumentano la circolazione del virus nelle scuole.

Sul fronte delle coperture, quelle con almeno una dose di vaccino sono molto variabili nelle diverse fasce d’età (dal 97,6% degli over 80 al 79,6% della fascia 12-19), così come sul fronte dei richiami, che negli over 80 hanno raggiunto il 64,6%, nella fascia 70-79 il 40,7% e in quella 60-69 anni il 32,7%. Se si prende in esame l’efficacia, la necessità della dose booster è ben documentata dai dati dell’Istituto superiore di sanità che dimostrano la riduzione dell’efficacia vaccinale dopo cinque mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario. In particolare: l’efficacia sulla diagnosi scende in media dal 74,3% per i vaccinati entro cinque mesi al 39,6% per i vaccinati da più di cinque mesi, per poi risalire al 76,7% dopo il richiamo; l’efficacia sulla malattia severa scende in media dal 92,6% per i vaccinati entro cinque mesi all’83,7% per i vaccinati da più di cinque mesi, per poi risalire al 93,3% dopo il richiamo. Complessivamente nelle persone vaccinate con ciclo completo (più eventuale dose di richiamo), rispetto a quelle non vaccinate, nelle varie fasce d’età si riduce l’incidenza di diagnosi (del 65,5-76,1%) e soprattutto di malattia grave (dell’82,9-93,3% per ricoveri ordinari; dell’89,9-97,1% per le terapie intensive) e decesso (del 78,9-96,7%).

Analizzando le terze dosi, al 15 dicembre (aggiornamento ore 06.18) ne sono state somministrate 12.563.534, con una media mobile a sette giorni che si è stabilizzata intorno alle 400mila somministrazioni al giorno. In base alla platea ufficiale (n. 20.447.664) il tasso di copertura nazionale per le terze dosi è del 61,4% con nette differenze regionali, dal 45,7% della Sicilia al 71,2% della Toscana. Il dato è tuttavia sovrastimato per il mancato inserimento nella platea delle persone che a partire dal 1° dicembre hanno progressivamente raggiunto il quinto mese dal completamento del ciclo vaccinale.

Nel monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe trova spazio anche il capitolo dedicato alla variante Omicron. Lo scorso 26 novembre la variante Omicron (B.1.1.529) è stata definita variante di preoccupazione (Variant of Concern – VoC) dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Secondo lo European centre for disease prevention and control (Ecdc) la variante Omicron è stata rilevata in 69 Paesi e, considerata la sua elevata trasmissibilità, è verosimilmente già presente in molti altri. In Italia, secondo i dati Ecdc, i casi riportati sono 27 e a livello europeo è in aumento l’incidenza dei contagi locali rispetto a quelli ‘importati’ da altri Paesi. Sebbene i dati sull’impatto della variante Omicron siano ancora limitati, l’Oms il 10 dicembre ha sintetizzato le evidenze preliminari nel report ‘Enhancing readiness for omicron (B.1.1.529): technical brief and priority actions for member states’ e l’Ecdc il 14 dicembre ha pubblicato il report ‘Assessment of the further emergence and potential impact of the SARS-CoV-2 omicron variant of concern in the context of ongoing transmission of the delta variant of concern in the Eu/Eea’.

In sintesi: per quanto riguarda la trasmissibilità, i dati epidemiologici provenienti dal Sudafrica e da alcuni Paesi europei (in particolare Danimarca e Inghilterra) mostrano che la variante Omicron è più contagiosa della delta con un tempo di raddoppio dei casi attualmente stimato intorno a 2-3 giorni. Non è ancora chiaro se la rapida crescita nei Paesi con elevati tassi di copertura vaccinale dipenda dalla capacità del virus di sfuggire alla risposta immunitaria, dall’aumento di trasmissibilità o dalla combinazione di entrambi i fattori. Spazio poi all’evasione immunitaria: sembra emergere una maggiore incidenza di reinfezioni in persone guarite e una ridotta efficacia dei vaccini. A tal proposito, i dati del Public health England mostrano che l’efficacia di due dosi di vaccino sulla malattia sintomatica si riduce nettamente, ma risale dopo la somministrazione della terza dose (circa 70-75%). Non ci sono ancora, tuttavia, dati robusti e conclusivi sull’efficacia dei vaccini nei confronti delle forme severe di malattia da variante Omicron.

Analizzando la severità della malattia, anche se i dati sudafricani suggeriscono che questa variante possa causare un quadro clinico meno severo e quasi tutti i casi riportati in Europa sono lievi o asintomatici, le evidenze in tal senso non sono ancora robuste. Peraltro, anche se la malattia fosse più lieve, l’aumento consistente dei casi potrebbe comunque determinare un incremento in termini assoluti delle forme severe, con conseguente sovraccarico ospedaliero. In questo scenario Oms ed Ecdc hanno classificato il rischio della diffusione della variante Omicron come molto alto, raccomandando di rafforzare sorveglianza e sequenziamento, di accelerare la somministrazione di vaccini e richiami (l’Ecdc raccomanda di accorciare il tempo del richiamo a tre mesi invece di cinque) e di potenziare le misure non farmacologiche per il contenimento dell’epidemia: mascherine, distanziamento sociale ed evitare assembramenti, igiene delle mani, ventilazione degli ambienti chiusi, smartworking.

Cartabellotta afferma inoltre che “il nostro Paese è entrato in una fase critica della pandemia per la convergenza di vari fattori: la stagione invernale, gli oltre 6 milioni di non vaccinati le ultime misure del Governo, il netto ritardo iniziale nella somministrazione delle terze dosi, le imminenti festività natalizie che aumenteranno contatti sociali e contagi e, soprattutto, la progressiva diffusione della variante Omicron che secondo l’Ecdc diventerà prevalente in Europa entro i primi due mesi del 2022″. Il presidente della Fondazione Gimbe precisa, infine, che “in questo contesto, , che mirano ad innalzare la protezione nei confronti del virus, non hanno modificato i criteri per assegnare i colori alle regioni, definiti quando non erano noti il declino dell’efficacia vaccinale e la necessità delle terze dosi e non incombeva la minaccia di una variante così preoccupante. Criteri che lasciano alle regioni la massima autonomia nell’aumentare la disponibilità di posti letto per ridurre i tassi di occupazione, con il rischio di congestionare silenziosamente gli ospedali e limitare l’accesso alle cure ai pazienti non Covid’, conclude Cartabellotta (Fonte Dire).