Donna uccisa al parco, la Beretti: “Il giudice non è un chiaroveggente”

23 novembre 2021 | 13:06
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Donna uccisa al parco, la Beretti: “Il giudice non è un chiaroveggente”

Il presidente del tribunale di Reggio: “Ciò che è accaduto è gravissimo, ma da qui a cercare responsabilità o capri espiatori su chi non ha fatto altro che applicare la legge, credo che ce ne corra”

REGGIO EMILIA – “Un giudice non ha poteri di hiaroveggenza, non può sapere ciò che accadrà dopo, stante la imprevedibilità delle reazioni umane”. Lo dice all’Ansa la presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti, sul caso di Juana Cecilia Loayza, uccisa dall’ex, libero con la condizionale dopo il patteggiamento dello stalking. Quanto accaduto “non è altro che ciò che accade in decine e decine di processi per reati analoghi”. Pm e giudici “applicano la legge, applicano misure cautelari richieste dal Pm calibrando le scelte a seconda del caso concreto, condannano alla pena che appare
equa in relazione al caso sottoposto al loro vaglio”.

Le valutazioni che un giudice è chiamato a compiere “devono essere le stesse per
tutti: comprensione del contesto, accertamento del fatto, applicazione della norma. Diversamente – continua Beretti – si dovrebbero prevedere categorie di autori per i quali i principi costituzionali non sono applicabili e, questo, è contrario ad un sistema penale di una società liberal democratica”.

L’indagato, Mirko Genco “era persona priva di precedenti penali”, ricorda Beretti. “È stato sottoposto a misura cautelare, gli è stata applicata la pena di due anni di reclusione, aveva iniziato la frequentazione di un centro di recupero, condizione necessaria per poter avere la sospensione condizionale della pena”, conclude.

Aggiunge Beretti: “Ciò che è accaduto è gravissimo, la soppressione di una vita da parte di un altro essere umano è quanto di più grave possa esservi. Ma da qui a cercare responsabilità o capri espiatori su chi non ha fatto altro che applicare la legge, come accade ogni giorno nei tribunali per fatti del tutto analoghi e che nella stragrande maggioranza dei casi hanno epiloghi del tutto differenti, credo che ce ne corra. Il discorso sarebbe molto lungo perché far comprendere cosa significhi davvero il mestiere di giudice, cosa ci sia dietro ad ogni decisione, quale sia il travaglio che accompagna ogni provvedimento, mi rendo conto che sia impresa sempre più ardua”.

Genco, conferma Beretti, era stato arrestato i primi di settembre per il reato di atti persecutori nei confronti della vittima. In esito alla convalida dell’arresto il giudice, accogliendo la richiesta del Pm, ha applicato il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, “misura introdotta dalla Legge 39/09 in occasione dello stesso intervento legislativo che ha configurato il delitto di atti persecutori”.

Ma “la misura è stata violata, Genco è stato nuovamente arrestato e il giudice ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere”. Quindi, “a seguito di manifestazione di disponibilità dei nonni dell’imputato ad accoglierlo in regime di arresti domiciliari, la custodia in carcere è stata sostituita con quella degli arresti domiciliari”.

“Ricordo a me stessa – aggiunge la presidente – che il legislatore prevede che la
misura carceraria possa essere applicata solo quando ogni altra misura cautelare risulti inidonea. La misura degli arresti domiciliari non risulta essere stata violata”. Genco ha, dunque, chiesto l’applicazione della pena di due anni di reclusione, pena sospesa: “Ricordo che il rito premiale del cosiddetto patteggiamento comporta la riduzione di un terzo della pena che si sarebbe applicata”.

A quel punto il pm, togato, “ha prestato il suo consenso”. E il giudice, anch’esso togato, “ha ratificato l’accordo e ha subordinato la sospensione della pena alla partecipazione dell’imputato a specifici percorsi di recupero, così come prevede l’articolo 165 del codice penale. Tale previsione è stata introdotta dal legislatore specificamente per tali tipologie di reato con scopo rieducativo specifico. Genco, a quanto consta, aveva iniziato un percorso in un centro specializzato in prevenzione, recupero e assistenza psicologica di soggetti condannati, tra gli altri, per il reato di atti persecutori”.