Eutanasia, Sesena replica al vescovo: “Un diritto di civiltà”

31 agosto 2021 | 17:05
Share0
Eutanasia, Sesena replica al vescovo: “Un diritto di civiltà”

Il segretario della Cgil dopo le dichiarazioni di Camisasca a La Verità: “Evidenziano ancora la difficoltà mai superata, dal medioevo ad oggi, di trovare un equilibrio fra fede e ragione su temi di assoluta importanza per l’essere umano quali la morte e la vita”

REGGIO EMILIALa posizione sul referendum per la legalizzazione dell’eutanasia espressa sulle colonne de La Verità dal vescovo di Reggio Emilia monsignor Massimo Camisasca evidenzia ancora la difficoltà mai superata, dal medioevo ad oggi, di trovare un equilibrio fra fede e ragione su temi di assoluta importanza per l’essere umano quali la morte e la vita.

Già a partire dall’affermazione: “l’uomo non è padrone della propria vita” si consuma una frattura inconciliabile fra chi crede e chi no; ma sono i successivi corollari a questa affermazione ad apparire agli occhi di un laico – convinto sostenitore della necessità della laicità dello Stato e della inammissibilità delle ingerenze della Chiesa nella gestione della res publica – inaccettabili.

Ad esempio, ritenere che l’eutanasia sia equiparata ad un atto di protervia umana ( i greci la chiamavano ubris) o di vocazione al superomismo è la prima forzatura che si rileva nel contributo di Monsignor Camisasca.

A settecento anni dalla nascita di Dante, il mito di Ulisse che per seguir “virtute e canoscenza” solca le colonne d’ Ercole, venendo punito da Dio, andrebbe quantomeno attualizzato ai tempi nostri, tempi sicuramente agitati e di poche certezze, ma che affidano all’uomo la possibilità consolidata di coniugare etica e politica. Sostenere che se si dà all’uomo: “Il diritto di uccidere non potremmo più fermare la catena di morti” suona come una dichiarazione preventiva di totale sfiducia nel genere umano, sfiducia che poi caratterizza tutto il proseguo di un ragionamento che si spinge addirittura a scomodare eugenetica e nazismo in un crescendo di toni apocalittici.

Garantire all’uomo il diritto di scegliere, riconoscergli la facoltà di comprendere se il dolore che sta vivendo stia togliendo senso e dignità ai suoi giorni, è al contrario, un atto di fiducia nel prossimo. Come per il diritto all’aborto, anche il diritto a decidere della propria vita è un passaggio che non può essere banalizzato, è un passaggio la cui difficoltà non possiamo immaginare, e di cui dobbiamo avere rispetto, un passaggio che non può essere delegato a nessuno e che l’individuo deve poter compiere in piena libertà.

Il rispetto che manca in una posizione che arriva a sostenere che potrebbe verificarsi una corsa alla “dolce morte” da parte di chi soffre di patologie psichiche come la depressione. Sarebbe poi interessante comprendere se è vero, dati alla mano, ma in questo solo gli psichiatri potrebbero aiutarci, che ogni depresso ha pensato almeno una volta al suicidio. Lo ritengo improbabile, come ritengo improbabile che chi soffre di patologie psichiche non abbia nel nostro Paese la possibilità di curarsi, di essere assistito e di tornare a stare bene.

E’ fuori discussione comunque che una eventuale legge in materia dovrà essere equilibrata, chiara e prevedere casistiche stringenti onde evitare anche il solo rischio di interpretazioni capziose e abusi. Credo infine che nella fiducia concessa all’uomo di poter autodeterminarsi, nell’investimento che si fa nella sua intelligenza di comprendere se, come e a che prezzo vivere, ci sia un forte segno di civiltà e di progresso.

Credo che la laicità dello Stato sia un valore che va protetto e affermato convintamente in ogni scelta del decisore politico di turno; che gli italiani, se e quando saranno chiamati al voto, sapranno decidere guardando al futuro come è stato fatto per il divorzio e per l’aborto. Credo che un diritto concesso rappresenta un avanzamento che innalza il livello di tutela sociale anche per chi a quel diritto non ricorrerà mai.