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Aemilia, i giudici: “Il gruppo Vertinelli a disposizione dei clan”

15 giugno 2021 | 20:12
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Aemilia, i giudici: “Il gruppo Vertinelli a disposizione dei clan”

Le motivazioni della Corte d’Appello: “Trait d’union tra capitali di impresa e mafiosi”

REGGIO EMILIA – “Trattasi di imprenditori pienamente inseriti nell’organizzazione della cosca e a disposizione, come anche altri, di Nicolino Grande Aracri”. Il quale, “da sempre interessato a cercare forme di investimento delle proprie illecite ricchezze nella più generosa Emilia, reinvestiva i propri denari dando vita ad una sinergia criminale tra capitale di impresa e capitale mafioso”.

E’ quanto scrivono i giudici della Corte d’Appello di Bologna nelle motivazioni alla sentenza di secondo grado del maxi processo Aemilia contro la ‘ndrangheta a proposito dei fratelli Palmo e Giuseppe Vertinelli, condannati lo scorso inverno a 17 anni e quattro mesi e 16 anni e quattro mesi insieme a loro tre figli (quattro anni a testa). I giudici li hanno riconosciuti colpevoli di diversi reati di tipo finanziario finalizzati al “reimpiego dei denari illeciti, non solo della cosca emiliana (provenienti, ad esempio, dalla falsa fatturazione) ma anche di quella cutrese”, commessi attraverso una sorta di “impero” di aziende.

Che tuttavia “non avevano affatto una loro autonomia” ma “erano contraddistinte da una assoluta ‘promiscuità’ per sedi e conservazione della contabilità, gestionale (cessione di rami d’impresa da una società all’altra all’interno del “gruppo”), dalla successione delle medesime società negli appalti e dal passaggio, senza soluzione di continuità, di lavoratori dall’una all’altra”.

Le società “erano poi tutte fittiziamente intestate a compiacenti prestanome”. Tra le altre spicca la Mille Fiori srl, che aveva preso in gestione il ristorante reggiano “Il Cenacolo del pescatore”. Non “è dato sapere con quali risorse economiche la società sia stata costituita nel 2002, né con quali capitali sia stata effettuata l’edificazione dell’immobile”, scrivono i giudici, che osservano anche come “la sopravvivenza del ristorante era possibile, per i suoi elevatissimi costi, solo grazie ad una gestione illecita”. Per un collaboratore di giustizia nel locale aveva investito anche il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri (Fonte Dire).