Primo Maggio, Sesena: “Sfregiata la storia della nostra città per quattro denari”

27 aprile 2021 | 11:06
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Primo Maggio, Sesena: “Sfregiata la storia della nostra città per quattro denari”

Il neo segretario della Cgil sulla sua organizzazione: “Sono ottimista. Vedo disponibilità, incoraggiamento e voglia di lasciarsi alle spalle le divisioni”. Su Aemilia: “Bisogna avere il coraggio di guardare fino in fondo al vaso di Pandora”

REGGIO EMILIA – “Non capisco perché si debba sfregiare la storia della nostra città per quattro denari. Spero che non sia l’inizio di una deriva per cui il primo imprenditore che alza la mano e chiede il Comune concede”. Alla vigilia del Primo Maggio il neosegretario della Cgil, Cristian Sesena, esprime tutta la sua contrarietà alle deroghe concesse dal Comune per l’apertura di parrucchieri, estetisti e tautatori nel giorno della festa dei lavoratori.

Sesena, 47 anni, dal 2011 al 2019 segretario nazionale della Filcams (la categoria che segue il mondo del commercio), guida la Cgil da un mese e mezzo, dopo l’intermezzo di due anni del genovese Ivano Bosco, venuto ad appianare le divergenze interne del sindacato scaturite in seguito alla mancata conferma di Guido Mora due anni fa. Divisioni che, a suo dire, sarebbero oramai state appianate. Ci ha detto: “Sono ottimista per il futuro. Vedo disponibilità, incoraggiamento e voglia di lasciarsi alle spalle le divisioni. Abbiamo grandi obiettivi. Sono cautamente ottimista che, quella che è stata una pagina buia, possa dirsi in via di superamento definitivo”.

Lei arriva alla guida della Cgil in piena pandemia e in un momento molto difficile. Quali sono, a suo parere, le sfide più difficili, oggi, per un sindacato moderno?
Siamo alla vigilia di un appuntamento importante che è la Conferenza di organizzazione che terremo entro la fine dell’autunno. E’ un momento di profonda riflessione in cui si fa il punto sui cambiamenti che bisogna mettere in campo per essere più aderenti alla nostra missione. Ce ne vogliono tanti. La pandemia ha evidenziato una serie di limiti nostri e di esigenze di cambiamenti che ci devono portare a fare scelte, anche radicali. Abbiamo scontato, negli anni, il fatto di arrivare dieci minuti dopo i fenomeni di trasformazione del mondo del lavoro e abbiamo sempre rincorso. Non solo per limiti nostri, visti i numerosi cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro dalla Fornero ad oggi. Dobbiamo adeguarci, ci vuole più presenza sui territori e più contatto con i luoghi di lavoro e dove il lavoro si nasconde. Noi abbiamo persone che lavorano da casa, liberi professionisti sul web e sul digitale. Non abbiamo più la figura del padrone classico. I rider non hanno un datore di lavoro fisico, ma una piattaforma e un algoritmo che dà loro i turni e li valuta. Figure padronali del Novecento che non hanno una fisicità, ma si muovono in quella direzione. In questa fase dobbiamo stare più fuori dagli uffici e maggiormente a contatto con le persone. La pandemia sta accelerando un processo di trasformazione economica che, rispetto alle altre crisi, è un po’ diverso. Avremo presto una grande disponibilità finanziaria per affrontare questi cambiamenti grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza che sarà presentato a Bruxelles. Il sindacato deve scegliere se governare questi processi in maniera attiva o subirli, sia nel rapporto con la politica che con le imprese. Dobbiamo imporre un modello di relazioni sindacali in cui i lavoratori abbiano una partecipazione attiva ai processi di cambiamento.

E’ diventato segretario dopo due anni di gestione, da parte di Ivano Bosco, che era venuto da Genova per appianare le divisioni interne del sindacato dopo la mancata conferma di Mora. Questa frattura è stata ricomposta ora?
Con Bosco è stata individuata una figura che potesse garantire un carattere di terzietà. Lui è stato individuato per una fine operazione di ricucitura dei rapporti. E’ entrato in una situazione che non conosceva e ha speso molto tempo a farsi un’idea di cosa fosse accaduto. Io sono un ibrido, perché sono nato qui. Sono stato in Camera del lavoro a Reggio per otto anni, mi sono formato qua e ho avuto un ruolo di dirigenza qua. A un mese e mezzo dalla mia elezione, inizio a cogliere dei segnali positivi e vedo la volontà di lasciarsi alle spalle una stagione buia che si è tradotta in una perdita di mordente della Cgil e del suo ruolo all’interno delle dinamiche politiche e istituzionali della città. Eravamo troppo impegnati in scontri interni e questo ha nuociuto al ruolo e all’immagine dell’organizzazione. Sono ottimista per il futuro. Vedo disponibilità, incoraggiamento e voglia di lasciarsi alle spalle le divisioni. Abbiamo grandi obiettivi. Sono cautamente ottimista che, quella che è stata una pagina buia, possa dirsi in via di superamento definitivo.

Ha parlato di un ruolo istituzionale maggiore che deve ricoprire la Cgil. Può spiegarci meglio in cosa dovrebbe consistere?
Reggio soffre un po’ di un abbassamento della discussione politica e del confronto sui grandi temi. C’è una sorta di vuoto e manca, soprattutto, una riflessione sul ruolo del lavoro. Non si discute molto della qualità del lavoro e non si analizza il fatto che Reggio non può più essere considerata un’isola felice. Non possiamo definirci una realtà anticiclica rispetto ai problemi del Paese. Abbiamo il problema di una occupazione che non è più qualificata, problemi di sfruttamento lavorativo e di illegalità. Ci sono infiltrazioni illegali che corrodono tutto il sistema e la catena di diritto del lavoro. Vedo poca attenzione su questi temi. Vedo attenzione della politica locale ai titoli, ma non agli svolgimenti. Ecco perché credo che la Cgil debba impegnarsi, perché al titolo “lotta alla povertà”, corrispondano azioni misurabili e verificabili e al titolo “lotta alla disoccupazione” corrisponda un’azione che inverte quella tendenza. La Cgil deve avere come obiettivo quello di superare quell’aspetto e mirare a fare sì che, alla quantità del lavoro, segua anche un ragionamento sulla qualità del lavoro. E’ importante non solo creare posti di lavoro, ma anche capire che lavoro vai a dare a quelle persone. Deve essere dignitoso, tutelato e formato, soprattutto per i giovani. La Cgil può portare idee e soluzioni qui. Sto parlando anche degli stakeholder imprenditoriali: penso a Legacoop e a Unindustria.

Le sue parole, quindi, almeno in parte, smentiscono una narrazione che vede la nostra provincia come quella con un maggiore tasso di occupazione in Italia e come quella che innova. Pensiamo al Parco innovazione e alla meccatronica. Non è così?
Guardi le faccio un esempio. Pensiamo al Piano strategico sul turismo del Comune. Io ho spiegato che va bene ed è importante. Però ho anche detto che mi devono dire che tipo di occupazione si aspettano da quel piano per evitare il rischio di avere lavoro instabile, percario, nero. Non ci sono state risposte. Non mi hanno detto: “Hai ragione, guardiamolo anche in quell’ottica lì”. Perché se facciamo lavorare di più gli alberghi e facciamo assumere più personale, che lavoratori avremo e con quali garanzie? Dobbiamo pensarci adesso.

Ecco, parliamo di lavoro. La cassa integrazione, prima o poi, finirà e si aprirà, anche nel nostro territorio, una situazione drammatica. Lei recentemente ha lanciato un appello alle istituzioni. Cosa si dovrebbe fare?
C’è il blocco dei licenziamenti che scadrà presto anche a Reggio. Il 30 giugno per un pezzo del manifatturiero e il 30 ottobre per il terziario e i servizi. Possiamo metterci avanti? C’è un ruolo in termini di formazione e riqualificazione professionale che può giocare il nostro territorio? Noi abbiamo chiesto di aprire un tavolo con il Comune e la Provincia a cui ci saremo anche noi e le parti datoriali. Dobbiamo cercare di evitare gli esuberi e mettere in campo sul territorio questo schema. Bisogna fare partire un immediato circolo virutoso che permetta a chi viene escluso di entrare in un percorso di formazione che possa reinserire queste persone nel mercato del lavoro. Dobbiamo fare un ragionamento che tenga insieme la gestione del contingente con la gestione della ripresa. Perché anche qui avremo investimenti grazie al recovery fund.

Primo Maggio a Reggio. Per la festa dei lavoratori ci sono negozi che vogliono restare aperti e il Comune ha concesso loro una deroga. Cosa pensa di questa situazione?
Se parliamo di tatuatori, estetisti e parrucchieri, l’ha concesso il Comune, ma se parliamo di supermercati allora è il decreto Monti che lo ha deciso. Però non cambia il senso. Io comprendo il punto di vista delle associazioni che non sanno che risposte dare ai propri iscritti e quindi hanno messo in campo la richiesta di una deroga facoltativa il Primo maggio e il 25 Aprile. Ma devo anche dire che, in questo modo, hanno creato un vulnus, dal punto di vista della storia di questa città, per permettere, eventualmente, di aprire. Sono imbufaliti e io li capisco, perché i sostegni del governo sono inadeguati, ma non è che aprendo il Primo maggio e il 25 Aprile tu sani il tuo problema economico. Significa dare un contentino, ma quelle associazioni avrebbero dovuto portare a casa ben altro. Non è che con quelle aperture tireranno il fiato. Non capisco perché si debba sfregiare la storia della nostra città per quattro denari. Spero che non sia l’inizio di una deriva per cui il primo imprenditore che alza la mano e chiede il Comune concede.

La Cgil ha seguito, con grande attenzione, il processo Aemilia. Il boss Nicolino Grande Aracri, recentemente, si è pentito. Molti pensano che le sue confessioni potrebbero fare tremare la cosiddetta zona grigia in questa città. Lo crede anche lei?
La Cgil è stata assoluta protagonista di questa battaglia della legalità e lo è, tra mille difficoltà, nella commissione che opera nel Comune di Brescello. E’ un dibattito complicato quello che si è aperto su questo tema sul nostro territorio, perché non ci si è ancora ripresi dal fatto che Reggio possa essere un ambiente poroso per questo tipo di infiltrazioni. Tema che a me preoccupa molto, perché credo che si debba mettere in campo tutto il possibile per essere trasparenti. Se le dichiarazioni di Grande Aracri saranno di un certo tipo, si potrebbe aprire un vaso di Pandora che non sarà più limitato a uno o due Comuni della bassa. La prima cosa che si dovrà fare, in questo caso, è di evitare le categorie della riduzione e della rimozione e prendere seriamente in mano la questione. Se abbiamo dei problemi di legalità vanno contrastati e dobbiamo fare fronte comune. Bisogna evitare di tentare di veicolare un messaggio di normalizzazione o di ordinarietà. Aemilia ci ha insegnato che tutto questo non è stato un incidente di percorso. Ce ne saranno altri e bisogna avere il coraggio di guardare fino in fondo al vaso di Pandora.