Rocca: “La Croce rossa deve andare incontro anche a chi non ci sarà riconoscente”

22 febbraio 2021 | 12:37
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Rocca: “La Croce rossa deve andare incontro anche a chi non ci sarà riconoscente”

Il presidente nazionale della Cri: “Gli episodi concreti di violenza che hanno visto vittime i volontari e gli operatori sanitari devono preoccuparci, perché sono prove di una diffusa mancanza di cultura”

REGGIO EMILIA – L’attuale pandemia ha reso ancor più il volontariato un supporto indispensabile per coloro che si trovano a combattere con un nemico ostico ed infido. Ne parliamo con Francesco Rocca, presidente della Federazione Internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa e presidente nazionale della Croce Rossa Italiana.

Rocca, nessuno dubita che ad oggi la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa costituiscano la più grande e diffusa organizzazione umanitaria al mondo. Tuttavia, a guidarla non troviamo un medico, ma un avvocato. In che modo il valore aggiunto della sua cultura legale riesce a supportarla in un ruolo che sappiamo essere molto delicato?
Devo riconoscere che, per quanto attiene alla carica di presidente internazionale della Croce Rossa, la mia preparazione professionale ha un valore relativo. Ho la fortuna di lavorare con una macchina rodata negli anni e posso avvalermi della valida collaborazione di un segretariato generale sempre all’altezza della situazione. Il mio impegno riguarda più l’aspetto politico, il dialogo e l’advocacy nei confronti dei diversi governi e società nazionali, per favorire le necessarie collaborazioni e sinergie. Ecco, è forse in ambito nazionale che il mio background legale mi è di supporto quando occorre districarsi tra i vari codici e normative, ma ripeto, resto convinto che il mio essere avvocato è poco importante. Fossi anche un architetto o un artigiano, le tematiche fondamentali restano sempre la sanità, la vulnerabilità delle genti più deboli, la conoscenza dei territori e la capacità di stimolare un dialogo costruttivo con le istituzioni di riferimento a ogni livello.

È facile immaginare cosa rappresenti per lei la Croce Rossa, ma come vorrebbe che venisse percepito il senso della missione di questa organizzazione nel mondo?
La Croce Rossa deve essere sentita come un sostegno, un’espressione profonda delle singole comunità che non viene calata dall’alto, ma che nasce e si radica nei territori. Certamente, mi piacerebbe vedere in alcuni paesi un maggiore sostegno da parte dei governi nazionali e delle loro autorità, così che sappiano offrire una maggiore attenzione alle comunità locali, preparandole ad affrontare e gestire i disastri e a prendersi cura di se stesse. Mi piace ricordare sempre che la Croce Rossa Internazionale è un’organizzazione ausiliaria che non vuole sostituirsi alle diverse autorità locali. Il nostro fondatore (Henry Dunant) aveva una visione: quella delle migliori espressioni della società civile che si mettono a disposizione delle loro comunità e che sono formate per i momenti in cui ve ne è bisogno e, devo dirlo, in molti paesi questo funziona, in altri abbiamo più difficoltà.

Il ruolo che ricopre la porta a scoprire e al contempo relazionarsi con diverse culture. Indubbiamente questo costituisce una fonte di arricchimento, ma anche un’occasione di contrasti. In che modo un uomo con la sua cultura ed esperienza riesce ad armonizzare le diverse spinte culturali?
Devo ammettere che la Croce Rossa ha un vantaggio che personalmente mi gioco in ogni contesto, vale a dire l’insieme dei nostri sette principi (umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, volontarietà, unità, universalità). Sono valori comuni a tutti e ovunque nel mondo, e questo ovviamente facilita il dialogo, la comprensione e la possibilità di stabilire delle relazioni solide a livello internazionale con culture diverse sia in ambito religioso sia politico.

C’è un episodio, o anche più di uno, che l’ha così profondamente colpito che le è impossibile, anche volendo, cancellarlo dalla mente?
Questa è una domanda molto delicata perché sono tante le situazioni che mi hanno colpito, soprattutto quelle che hanno coinvolto dei bambini, le persone più indifese e che pagano sempre il prezzo più alto. Penso ovviamente ai diversi conflitti che vedono il fattore umano come causa della sofferenza, ma anche ai disastri naturali dove la natura rivela il suo lato più oscuro. Ecco, forse vale per tutti il ricordo di una bambina appena arrivata in un ospedale a Gaza. Tremava come una foglia ed era arrivata da noi in seguito all’esplosione di un palazzo durante la guerra del 2014. Non è facile convivere con l’immagine del suo sguardo smarrito, dei suoi occhi privi di una luce di speranza, ma pieni di una paura senza fine. È un ricordo che sento mio, che mi condiziona e mi sprona nel mio lavoro, qualcosa che mi ha toccato profondamente, solo in parte compensato dai dialoghi belli e commoventi che ho avuto con tante persone assistite e supportate dalla Croce Rossa.

Nel perdurare dell’attuale pandemia, i volontari del soccorso non si sono tirati indietro, anzi, hanno, se così si può dire, fatto gli “straordinari” tra l’altro non remunerati. A ripagarli un sorriso e un grazie. Ma c’è chi ha avuto e ha tuttora il coraggio di criticare e attaccare queste persone generose, quasi fossero gli untori di manzoniana memoria. Come crede di poter rispondere alle tante insinuazioni e malignità che inquinano il Web?
Credo che in questo caso ci troviamo di fronte a una delle tante criticità del nostro essere. Di per sé il web ha rappresentato una meravigliosa occasione di scambio di conoscenze, ha annullato le distanze come e più di radio e televisione, e ha unito il mondo. Tuttavia si è anche rivelato come un oscuro e potente acceleratore di odio, sfruttato da tristi personaggi nascosti dietro l’anonimato della Rete. Proprio come componenti della Croce Rossa, però, noi dobbiamo saper guardare oltre perché coscienti che molto spesso dietro queste persone si nasconde un mondo di disagio, solitudine e frustrazione. Diverso è il discorso, purtroppo vero, di coloro che vedono i volontari della Croce Rossa sotto una luce negativa, proprio come gli untori che ha citato. E sono persone che purtroppo arrivano ad assumere comportamenti concreti che danneggiano la vita dei volontari. Vorrei citare ad esempio, il caso di quei volontari pugliesi che hanno prestato un prezioso servizio in Lombardia. Dovendo loro tornare in Puglia, noi avevamo preso un appartamento in affitto per consentirgli di trascorrere lì la quarantena, e gli inquilini della palazzina si sono rivoltati perché non volevano gli untori. Il motto “non nel mio giardino” ha in sé una carica negativa e distruttiva che, purtroppo, non coinvolge solo i volontari della Croce Rossa, ma riguarda anche gli operatori sanitari e tutto il nostro mondo. Stiamo perdendo come umanità quel senso di rispetto profondo che merita il ruolo di chi soccorre, aiuta, tende la mano per aiutare il prossimo e non solo in Italia. Siamo un passo oltre l’odio degli haters o il livore dei social media, fenomeni da studiare, ma sintomi di disagio e solitudine. Gli episodi concreti di violenza che hanno visto vittime i volontari e gli operatori sanitari devono preoccuparci, perché sono prove di una diffusa mancanza di cultura, di una scuola che non riesce a formare i giovani e non sa far conoscere l’importanza e la sacralità, lo dico in senso laico, del ruolo del soccorritore sia esso un volontario, un operatore sanitario, un infermiere, un medico, un biologo o chiunque metta la sua professione a disposizione del prossimo.

I volontari della Croce Rossa hanno in sé motivazioni e spinte morali che li supportano in un’attività che non trova riconoscimenti pratici, ma regala soddisfazioni personali ineguagliabili. Qual è il saluto e l’augurio che più istintivamente le piacerebbe rivolgere a tutti questi eroi quotidiani che, a volte, il domani ha già scordato?
Non sono del tutto d’accordo con queste affermazioni perché credo che nel nostro paese ci sia tanta gente che riconosce nel volontariato un ruolo prezioso e capace di fare la differenza, e mi auguro che ciascun volontario sappia trovare in sé e non nei possibili riconoscimenti, la giusta motivazione per aiutare e soccorrere chi ne ha bisogno. Questo è l’augurio più importante e più bello che io possa fare a ciascun volontario e a ciascuna volontaria: saper trovare dentro noi stessi questa forza senza attendere la comunità, ma vivendo in essa e sostenendola. Se volgo lo sguardo all’Emilia-Romagna, alla Toscana, alla Lombardia, alla Liguria, ovunque vedo comunità in cui si fanno raccolte fondi per comprare ambulanze, defibrillatori e i materiali più vari che possano servire alla Croce Rossa, all’Anpas o alle Misericordie, solo per citarne alcune. C’è un radicamento forte del volontariato all’interno delle nostre comunità e se questo ci gratifica e ci dà forza, in ogni caso dobbiamo lavorare dentro di noi per trovare le giuste motivazioni che merita l’importanza che ciascun essere umano ha. Dobbiamo essere consapevoli della differenza che i volontari possono fare per una vita, arrivando nei tempi giusti con l’ambulanza e mettendo in pratica le tecniche nelle quali sono formati. Credo che questo sia l’aspetto più bello, a prescindere dal grazie che possa arrivare, perché dobbiamo sapere andare incontro anche a chi non ci sarà riconoscente, consci dell’importanza di sapere fare comunità all’interno del nostro mondo e comprenderne fondamentalmente i valori e i principi.