Processo Angeli e Demoni, ammesse parti civili solo due associazioni

28 gennaio 2021 | 15:01
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Processo Angeli e Demoni, ammesse parti civili solo due associazioni

Escluse altre sette realtà: chiesti i danni ad Ausl e Unione Val d’Enza

REGGIO EMILIA – Solo due delle nove associazioni per la tutela dell’infanzia che hanno chiesto di costituirsi parte civile nel processo legato ai “fatti di Bibbiano” ne hanno i requisiti e sono state ammesse. Si tratta di “Il Colibri'” con sede a Prato e “Gens Nova” di Bari, mentre per altre sette onlus sono stati accolti i rilievi sollevati dai difensori degli indagati, che hanno ne hanno contestato la mancanza di legami col territorio, la “mission sociale” poco attinente alla vicenda affidi e, in certi casi, anche di essere nate successivamente ai fatti incriminati.

Lo ha deciso questa mattina il giudice Dario De Luca in una lunga ordinanza, la cui lettura ha riempito la nuova udienza lampo (poco piu’ di mezz’ora) della fase preliminare, celebrata in tribunale a Reggio Emilia. I lavori, dopo l’avvio delle operazioni di smantellamento del prefabbricato che ha ospitato il processo Aemilia, si sono svolti nell’aula di Corte d’Assise, videocollegata con altre due per evitare assembramenti.

L’esclusione delle associazioni non e’ il solo colpo di scena che si registra in questo complesso e piuttosto tecnico momento del processo, in cui si allungano i tempi dell’avvio del dibattimento vero e proprio e il pronunciamento della Corte sulle 24 richieste di rinvio a giudizio avanzate dalla Procura reggiana. Gianluca Tirelli, legale di parte civile di uno dei minori coinvolti nell’inchiesta “Angeli e Demoni” cita infatti l’Unione dei Comuni della val d’Enza, l’Ausl di Reggio Emilia e l’Asp “Carlo Sartori” di San Polo come “responsabili civili”, chiamati cioe’ a rifondere i danni delle parti offese, in quanto “datori di lavoro” degli assistenti sociali e degli psicologi messi sotto accusa.

L’Azienda sanitaria e i Comuni, ammessi a loro volta come parte civile (insieme ad un’altra ventina di soggetti tra cui la Regione e il ministero della Giustizia), entrano dunque ora nel processo con un doppio ruolo. Da un lato sono legittimati a chiedere eventuali risarcimenti, dall’altro potrebbero essere loro stessi a doverli versare.

Un paradosso in cui pero’ l’archiviazione della posizione dei loro dipendenti indagati farebbe cadere il profilo di responsabilita’ dei due enti. Una “grossa delusione” viene espressa intanto dall’avvocato Caterina Biafora, rappresentante dell’associazione “Bon’t Worry” contro la violenza di genere, che non e’ stata ammessa come parte civile.

Il legale – patrono di parte civile al processo per i fatti di piazza San Carlo a Torino che ha visto ieri la condanna del sindaco Chiara Appendino – commenta: “Le ordinanze si rispettano, ma trovo che sia un’ingiustizia”. Infatti “ci e’ stata contestata la mancanza del requisito della territorialita’, ma io penso che i diritti delle donne e dei minori che difendiamo siano universali e non abbiano confini di territorio”.