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Operazione contro la ‘ndrangheta, indagato il leader Udc. Cesa: “Mi dimetto”

21 gennaio 2021 | 17:53
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Operazione contro la ‘ndrangheta, indagato il leader Udc. Cesa: “Mi dimetto”

Il centrista: “Mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente”

ROMA – Una vasta operazione antindrangheta, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro, è in corso in tutta Italia. L’indagine è denominata Basso profilo e vede impegnati circa 200 agenti della Direzione investigativa antimafia e 170 agenti delle Forze dell’ordine. Tra i soggetti coinvolti nell’operazione anche esponenti di forze politiche di rilievo nazionale. Tra loro, Lorenzo Cesa: il segretario dell’Udc risulta indagato per associazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso.

“Ho ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017. Mi ritengo totalmente estraneo, chiederò attraverso i miei legali di essere ascoltato quanto prima dalla procura competente. Come sempre ho piena e totale fiducia nell’operato della magistratura. E data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale come effetto immediato”. Così Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’Udc.

Non si fanno attendere gli esiti di Basso Profilo, la vasta operazione anti ‘ndrangheta, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro. Coinvolti esponenti delle ‘ndrine di Crotone, Isola Capo Rizzuto e Cutro, politici, amministratori e imprenditori. C’è anche un altro esponente dell’Udc coinvolto, oltre a Cesa: è Franco Talarico, segretario regionale del partito e assessore al Bilancio della Regione Calabria. Talarico si trova ai domiciliari.

Cinquanta persone raggiunte da un provvedimento di misura cautelare, 13 in regime di custodia in carcere, 35 in regime di custodia domiciliare, per una è scattato l’obbligo di divieto nel comune di Catanzaro e per un’altra l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. È questo l’esito di ‘Basso profilo’ l’operazione che stanotte ha visto in campo 200 uomini della Dia, provenienti da tutti i centri e sezioni operative d’Italia, supportati da poliziotti, finanzieri e carabinieri.

Il provvedimento – emesso dal gip del Tribunale di Catanzaro Alfredo Ferraro su richiesta del procuratore capo Nicola Gratteri e dei sostituti procuratore Paolo Sirleo e Veronica Calcagno – ha consentito di assestare, si legge in una nota della Procura, ‘un duro colpo’ alla ‘ndrangheta, ‘costituita da un insieme di ‘locali’ e ‘ndrine distaccate e operanti nelle diverse province calabresi e riferite, tra gli altri, a soggetti di caratura ‘ndranghetista quali Nicolino Grande Aracri, Giovanni Trapasso, Alfonso Mannolo e Antonio Santo Bagnato’.

Il loro coinvolgimento ‘non è di poco conto, laddove si consideri che a ognuno di essi corrisponde una sfera di ‘competenza territoriale’ ben delineata, e ciascuno di loro ha rapporti con Antonio Gallo alias ‘il principino’, un jolly in grado di rapportarsi con i membri apicali di ciascun gruppo mafioso non in senso occasionale e/o intermittente, bensì in senso organico e continuo’. L’imprenditore ha mostrato, cioè, di essere in grado di interloquire, anche direttamente, con i boss delle cosche, manifestando in tal modo ‘una significativa caratura criminale e presupponendo una vera e propria appartenenza alla ‘ndrangheta’. La Procura parla del gruppo criminale inquisito come ‘coeso, strutturalmente complesso ed altamente organizzato’ e il metodo mafioso che l’indagine ‘ha cristallizzato’ è quello tipizzato dall’art. 416 bis del codice penale.

Le indagini si sono avvalse di intercettazioni telefoniche e ambientali, ben 266.500 dialoghi ascoltati e trascritti, sostenute da contestuali indagini bancarie e accertamenti patrimoniali: 1.800 i conti correnti esaminati e 388.000 operazioni bancarie ricostruite, per un giro d’affari di circa 250 milioni di euro. Elementi che hanno confermato la mole di dati riferiti dai collaboratori di giustizia e hanno permesso di confermare l’esistenza di un insieme di ‘locali’ e ‘ndrine distaccate e operanti a Cirò Marina, Cutro, San Leonardo di Cutro, Isola di Capo Rizzuto, Roccabernarda, Mesoraca, Botricello, Sellia, Cropani, Catanzaro e Roccelletta di Borgia.

Grazie all’intraneità nella cosca del Grande Aracri, e poi al legame, tra gli altri, con Mario Donato Ferrazzo (del locale di Mesoraca), Domenico Megna (del locale di Papanice), dei maggiorenti delle cosche cirotane, di Antonio Santo Bagnato (del locale di Roccabernarda), l’imprenditore gestiva in regime di sostanziale monopolio la fornitura di prodotti antinfortunistici alle imprese che eseguivano appalti privati nei territori del settore jonico catanzarese.

Gallo, inoltre, si procacciava appalti con enti pubblici anche attraverso l’intimidazione, curava la gestione di società fittizie – nelle quali figuravano prestanomi a lui legati – create allo scopo di incamerare illeciti profitti mediante condotte decettive ai danni dell’Erario e degli enti previdenziali, e si interfacciava con personaggi politici ai quali prometteva pacchetti di voti in cambio di favori per sé e per altri, sia in territorio della provincia catanzarese che in altre realtà territoriali. Sistematica l’evasione delle imposte grazie alle società fittizie che avaveno il solo scopo di ‘emettere fatture per operazioni inesistenti, ottenerne il pagamento e retrocedere il denaro alle imprese beneficiarie della frode dietro la corresponsione del 11% dell’imponibile indicato nella fattura, affinché queste ultime potessero ottenere indebiti risparmi d’imposta milionari’.

Le fatture per operazioni inesistenti sono per la Procura il ‘nuovo oro’ delle organizzazioni criminali. L’attività di indagine ha consentito, così, di accertare la somma di 22 milioni di euro prelevata per contanti, attraverso l’arruolamento da parte dell’organizzazione mafiosa di un folto numero di soggetti prelevatori, vere e proprie ‘scuderie’ in un network complessivo di 159 società fruitrici e ben 86 società ‘cartiere’ emittenti i documenti falsi.

I membri dell’organizzazione coordinavano un drappello di individui incaricati, con costanza e senza soluzione di continuità, di recuperare il denaro corrisposto dalle società beneficiarie della frode, prelevandolo in contanti nei vari uffici postali dove erano stati accesi specifici conti correnti, retrocedere le somme decurtate del compenso illecito, redigere documentazione fiscale ed amministrativa fittizia nonché di arruolare nuove ‘teste di legno’. Le aziende ‘apri e chiudi’, tutte gestite da soggetti italiani nullatenenti o soggetti di etnia albanese, artatamente individuati dai capi dell’organizzazione, erano create al solo scopo di far figurare un apparente giro d’affari, in realtà inesistente, e consentire ad altre aziende gestite da imprenditori ‘reali’, sul mercato, di evadere il fisco.

I reati contestati sono anche quelli di corruzione, turbata libertà degli incanti, truffa ai danno dello Stato, associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, autoriciclaggio e reati tributari. Gallo, con l’ausilio di soggetti politici locali e dipendenti, ha realizzato una serie di numerosi reati contro la pubblica amministrazione con condotte ‘a monte’ delle gare di appalto. Fondamentale, in tale contesto, è risultata l’acclarata complicità, a vario titolo, di pubblici ufficiali. Le indagini hanno altresì fatto emergere un complesso ed articolato sistema di interazioni tra imprenditori e consulenti fiscali della zona.

Nell’indagine figurano infatti due commercialisti, entrambi originari di Roccabernarda (Crotone), con studio fiscale a Catanzaro. Ai due viene contestato anche il fraudolento ricorso al credito bancario per ottenere indebiti finanziamenti e mutui. Tra i professioni vicini alla conserteria anche un notaio, raggiunto dalla misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Catanzaro unitamente al divieto di esercitare la professione per la durata di un anno, per concretizzare il passaggio di quote societarie a cittadini albanesi.

Al servizio dell’associazione dedita al riciclaggio, auto riciclaggio e alla frode fiscale anche una impiegata di Poste Italiane che ha permesso la monetizzazione delle somme di denaro agevolando il compimento delle operazioni di prelievo da parte degli associati o dei loro incaricati al prelievo. I componenti della consorteria criminale erano anche in grado di ottenere informazioni sulle operazioni di polizia imminenti attraverso una rete di fonti e connivenze tra le forze dell’ordine.

In questo contesto, il ruolo di un luogotenente della guardia di finanza, oggi in pensione, anch’egli raggiunto da misura custodiale, in quanto, ancora in servizio all’epoca dei fatti, con la sua condotta, finalizzata ad ottenere uno stipendio fisso tramite l’assunzione del figlio presso una società costituita ad hoc da Antonio Gallo in Albania, forniva notizie sullo stato dell’indagine denominata ‘Borderland’, avvicinando i colleghi delegati alle indagini, contribuendo a salvaguardare gli interessi dell’imprenditore, di cui conosceva i legami con la compagine associativa di tipo ‘ndranghetistico cui era intraneo.

Per gli stessi motivi si muovevano due politici catanzaresi, Tommaso e Saverio Brutto, padre e figlio, l’uno consigliere di minoranza del comune di Catanzaro, l’altro assessore del comune di Simeri Crichi, coinvolti nell’operazione, i quali auspicando ad un guadagno analogo a quello del luogotenente mettevano in contatto quest’ultimo con l’imprenditore delle cosche, attraverso promesse di ‘entrature’ da realizzare con il contributo del segretario Regionale in Calabria dell’Udc, Franco Talarico, oggi assessore al Bilancio della Regione Calabria che, a sua volta, avrebbe coinvolto un europarlamentare e altri politici nazionali. Talarico, insieme ai due politici locali, guardavano a Gallo come imprenditore di loro riferimento per l’aggiudicazione di grossi appalti per i quali il loro guadagno sarebbe consistito in una provvigione del 5%.

Non mancavano le minacce dei vertici verso soggetti ritenuti rei di aver solo pensato ad un eventuale congedo dall’organizzazione. Tra i beni sequestrati figurano 59 società, 45 immobili, 29 autoveicoli di cui 2 Porsche (911 Carrera 4 e Boxter), 77 conti correnti, 24 carte di credito ricaricabili, 1 imbarcazione del tipo Invictus 370, 1 lingotto d’oro e un orologio Rolex (fonte Dire).