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Covid, in Italia il paziente zero a novembre 2019

11 gennaio 2021 | 19:41
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Covid, in Italia il paziente zero a novembre 2019

Sulla base dei dati presenti in letteratura mondiale questo sarebbe il “più antico riscontro della presenza del virus SARS-CoV-2 in un essere umano”

ROMA – Risalirebbe a novembre 2019 il primo caso documentato in Italia di presenza della SARS-CoV-2 in un essere umano. Si tratta di una giovane paziente che , all’epoca, presentava come unico sintomo una dermatosi. Che il Covid circolasse nel nostro Paese prima che la Cina comunicasse all’Organizzazione mondiale della Sanità che un virus sconosciuto provocava gravi polmonite è ormai un dato di fatto, ma oggi la conferma arriva anche da uno studio internazionale di patologi coordinato da Raffaele Gianotti, ricercatore dell’Università Statale di Milano, con il supporto dei laboratori dell’Istituto Europeo di Oncologia e Centro Diagnostico Italiano, che ha riesaminato le biopsie cutanee di dermatosi atipiche osservate nell’autunno 2019, riscontrando appunto il virus SARS-CoV-2 in una giovane paziente affetta solo da una dermatosi. La ricerca è stato pubblicata sul ‘British Journal of Dermatology’, la prestigiosa rivista scientifica di dermatologia.

“Dopo aver studiato le manifestazioni cutanee in pazienti affetti da COVID-19 dell’area milanese- spiega Gianotti- ho riesaminato al microscopio le biopsie di malattie cutanee atipiche eseguite alla fine del 2019 in cui non era stato possibile effettuare una diagnosi ben precisa. Abbiamo cercato nel passato perché nei nostri lavori già pubblicati su riviste internazionali, abbiamo dimostrato che esistono, in questa pandemia, casi in cui l’unico segno di infezione da COVID-19 è quello di una patologia cutanea. Mi sono domandato se avessimo potuto trovare indizi della presenza della SARS-CoV-2 nella cute di pazienti con solo malattie della pelle prima dell’inizio della fase epidemica ufficialmente riconosciuta“. La biopsia di una giovane donna, risalente a novembre 2019, ha mostrato dunque la presenza di “sequenze geniche dell’RNA del virus SARS-CoV-2, identificato tramite due tecniche differenti su tessuto cutaneo: immunoistochimica ed RNA-FISH. Metaforicamente abbiamo trovato ‘le impronte digitali’ del COVID-19 nel tessuto cutaneo”. Spiega quindi Giovanni Fellegara, responsabile del Laboratorio di Anatomia Patologica del Centro Diagnostico Italiano: “Nel caso della giovane donna è stato possibile dimostrare mediante indagini immunoistochimiche effettuate presso il nostro laboratorio la presenza di antigeni virali nelle ghiandole sudoripare”.

Tale dato è stato poi confermato dal riscontro nelle stesse strutture di sequenze geniche dell’RNA virale identificato con la tecnica RNA-FISH effettuata presso l’Istituto Europeo di Oncologia. “Abbiamo dimostrato la presenza di sequenze virali SARS-CoV-2, anche quantitativamente scarse, sul preparato istologico del 2019 e anche in sei pazienti del 2020 affetti solo da dermatosi ma senza sintomi sistemici da infezione COVID-19”, aggiunge quindi Massimo Barberis, direttore dell’Unità Clinica di Diagnostica Istopatologica e Molecolare dell’Istituto Europeo di Oncologia. La paziente, contattata a posteriori, ha riferito “assenza di sintomi sistemici da infezione da COVID-19, la scomparsa delle lesioni cutanee dopo cinque mesi e la positività degli anticorpi anti SARS-CoV-2 nel sangue periferico a giugno 2020”. Sulla base dei dati presenti in letteratura mondiale, dunque, questo sarebbe il “più antico riscontro della presenza del virus SARS-CoV-2 in un essere umano” (fonte Dire).