Migranti, Scavo: “Governo ricattato dai clan libici che ci usano come un bancomat”

18 dicembre 2020 | 16:30
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Migranti, Scavo: “Governo ricattato dai clan libici che ci usano come un bancomat”

L’inviato di Avvenire: “Abbiamo fatto in modo che il tema migratorio diventasse l’asset più importante nelle trattative e così abbiamo consegnato il coltello nelle mani dei trafficanti. L’Italia ha sbagliato tutto ciò che si poteva sbagliare a causa delle velleità di alcuni ministri. E non è un problema solo di destra, perché i guai veri sono iniziati con Minniti”

REGGIO EMILIA – “Abbiamo fatto in modo che il tema migratorio diventasse l’asset più importante nelle trattative con la Libia e, in questo modo, abbiamo consegnato il coltello nelle mani dei trafficanti. Noi siamo stati percepiti a lungo, dalle milizie libiche, come una sorta di bancomat. Bastava spaventarci con il tema migratorio”.

E ancora: “L’Italia ha sbagliato tutto ciò che si poteva sbagliare a causa delle velleità di alcuni ministri. E non è un problema solo di destra, perché i guai veri sono iniziati con Minniti. Il problema è che assistiamo ad un traffico di esseri umani che vengono utilizzati per ricattare i governi”.

Nello Scavo è inviato speciale di “Avvenire”. Reporter internazionale, cronista giudiziario, corrispondente di guerra, collabora con diverse testate estere. Le sue inchieste sono state rilanciate dalle principali testate del mondo. Ha indagato sulla criminalità organizzata e il terrorismo globale, firmando servizi da molte zone “calde” del mondo come la ex-Jugoslavia, la Cambogia e il Sudest asiatico, i paesi dell’ex Urss, l’America Latina, le frontiere più ostili in Turchia, Siria, la Rotta Balcanica, il Corno d’Africa e il Maghreb.

Nel settembre 2017 è riuscito a introdursi in una prigione clandestina degli scafisti libici, raccontando in presa diretta quali siano le condizioni dei migranti intrappolati. Negli ultimi anni è stato tra i giornalisti internazionali a trascorrere più tempo sulle navi di salvataggio dei migranti nel Mediterraneo. E nel gennaio 2019 è stato il primo giornalista a salire a bordo della nave Sea Watch 3 che per tre settimane è stata bloccata in mare dopo avere soccorso, conla Sea Eye, 49 migranti a cui non era stato permesso di sbarcare. Nel 2019 ha svelato il negoziato tra autorità italiane e trafficanti di petrolio, armi ed esseri umani in Libia. A causa delle ripercussioni internazionali di quella inchiesta è stato posto sotto tutela.

Lo abbiamo intervistato in una diretta on line organizzata dal Comune di Reggio in collaborazione con Amnesty International che fa parte del calendario di iniziative ‘Dicembre dei diritti’, il programma di iniziative dedicato ai temi dell’educazione e della partecipazione interculturale. L’incontro è stato introdotto dall’assessore alle Politiche Interculturali del Comune di Reggio Emilia Daniele Marchi.

Hai rivelato il malaffare libico legato ai profughi e al controllo delle acque del Mediterraneo, hai toccato la gestione criminale dei campi libici, l’hai denunciata e oggi vivi sotto tutela. Ricordiamo una tua famosa inchiesta relativa alla presenza di questo trafficante libico conosciuto come Bija, che prese parte ad un incontro in Sicilia, nel 2017, con le autorità italiane. Cosa succede fra l’Italia e la Libia?
Quello che abbiamo provato a raccontare è una plateale violazione dei diritti umani che ha visto in Libia un terreno di sperimentazione particolare. I clan libici si sono saldati con i clan e i faccendieri maltesi, con la mafia siciliana, la ‘ndrangheta calabrese e diversi esponenti dei clan balcanici. Alcuni Stati, in particolare quello italiano, sono venuti a patti con questi criminali per bloccare i flussi migratori. Però vorrei chiarire che non è che noi che denunciamo queste cose vogliamo accogliere tutti o trasferire l’Africa in Italia. Prima di tutto, perché non è vero. L’80 per cento della migrazione in Africa è intracontinentale. Il 20 per cento può sembrare grande, ma non lo è perché molti di loro tentano l’accesso alle monarchie arabe. E voglio aggiungere che, prima o poi, questo tipo di mentalità ci si ritorcerà contro. Pensa al Covid. Aver accettato che alcune persone hanno meno diritti di stare in vita di altre, ti fa pensare: “Pazienza se qualcuno muore o alcuni, tipo gli anziani, vengono considerati improduttivi e possono morire”. Ma la Libia è un caso particolare. Si era detto che le organizzazioni umanitarie fanno da calamita, ma quando sono state bloccate le navi umanitarie il flusso non si è interrotto. Molti arrivano spontaneamente. In Italia si è costruita una mistificazione costruendo la paura dell’altro.

Torniamo alla Libia. Cosa è successo nel 2017?
Fino ad aprile-maggio 2017 partivano dalla Libia verso l’Europa fino a 25mila persone al mese. Non ci siamo mai chiesti perché questa gente lo faceva. In quel Paese ci sono sei milioni di abitanti con un milione che è residente lì per lavorare. E così è accaduto che, nel giugno di quell’anno, si è tenuto un incontro riservato tra alcuni esponenti delle milizie libiche ed esponenti delle autorità italiane. Questi incontri avvengono regolarmente in Libia, ma non erano mai stati fatti in Italia. E’ stata come una sorta di legittimazione. Al loro ritorno le partenze sono passate da 25mila a 4mila al mese. Considerando che un migrante spendeva 1.000-1.500 euro per il suo viaggio in Italia, la domanda è: “Perché i trafficanti hanno rinunciato a un giro di affari così importante?”. La risposta è che, evidentemente, è accaduto che si è costruito un accordo che consentisse una serie di partite di giro.

Quali sono queste partite di giro e chi è Bija, l’uomo che partecipò a quell’incontro nel 2017 in Sicilia?
Lui è un paradigma di quello che è successo in Libia. Arrestato un mese fa, non sappiamo che fine ha fatto. In Libia ci sono 70 milizie sul campo, ovvero 70 clan mafiosi. Bija è una figura particolare. A 30 anni era a capo della guardia costiera di Zawhia. Era un giovane studente all’accademia navale libica ed era legato a gruppi criminali locali. La sua milizia di al Nasr è di Zawhia, dove si trova la più grande raffineria libica. L’estrazione di quel petrolio è stata data in concessione all’Eni. Per proteggere questa concessione, a protezione dell’insediamento produttivo, c’è una polizia privata, la Petroleum facility guard che appartiene alla milizia al Nasr. Accanto alla raffineria c’è il più grande campo di prigionia governativo per migranti libico che si chiama al Nasr. E’ un po’ come se a Corleone, al tempo di Totò Riina, tutto quello che c’era in paese si fosse chiamato Riina. In Libia questo avviene tutto alla luce del sole e a Bija è stato affidato il controllo sul porto petrolifero dove vengono gestite le esportazioni legali e illegali di petrolio. C’è un contrabbando di petrolio che finisce nelle pompe no logo spesso all’insaputa degli stessi proprietari.

Ma come arriva in Italia quel petrolio?
Attraverso Malta. Nell’isola il petrolio arriva via mare e, attraverso faccendieri locali, viene registrato come importazione legale. Dal momento in cui è legalmente importata in un paese Ue, quella merce può essere distribuita in tutto il continente. Questa distribuzione avviene tramite la mafia siciliana, con l’appoggio della ‘ndrangheta calabrese. Secondo la procura di Trento i danni per l’erario in Italia di questa operazione, in termini di imposta non pagata, sono di dieci miliardi di euro all’anno. Quindi assistiamo ad un traffico di esseri umani che vengono utilizzati per ricattare i governi. L’Italia ha speso milioni di euro per equipaggiare la guardia costiera libica. Abbiamo versato milioni di euro alle municipalità libiche, ovvero ai clan. Assistiamo inermi al contrabbando di petrolio e di esseri umani. Perfino a quello di stupefacenti, dato che arrivano ingenti quantità di cocaina dall’America del sud nei porti libici e, attraverso il Mediterraneo, raggiungono i mercati di spaccio di tutta Europa.

Quello che emerge, quindi, è che lo Stato italiano italiano si sarebbe messo d’accordo con personaggi tipo Bija che poi è coinvolto in tutta una serie di traffici illegali con il suo clan. E questo, in qualche modo, gli viene permesso perché vogliamo fare in modo che i migranti non arrivino in Italia?
E’ così e dopo averle scritte, queste cose, abbiamo trovato conferme che non ci aspettavamo. C’è un documento dell’osservatorio antidroga dell’Unione europea che accusa gli stati costieri, fra cui l’Italia, di avere sacrificato la sicurezza nazionale per collaborare con la guardia costiera libica nei respingimenti. Prima quei tratti di mare erano controllati dalla guardia costiera italiana. Visto che lì non ci sono più le nostre navi militari, quello che scrive l’osservatorio antidroga è che è stato lasciato campo libero al traffico di qualsiasi schifezza. Gli ispettori delle Nazioni Unite hanno intervistato Bija mesi fa che non nega di svolgere queste attività illecite. Bija controllava il campo di prigionia libico, come abbiamo visto. Faceva partire i migranti e poi, visto che faceva anche parte della guardia costiera libica, fermava un barcone di migranti, così dimostrava buona volontà. Altri tre li faceva partire e uno, magari, affondava. Due arrivavano in Italia. Il governo del nostro paese si lamentava e la Libia diceva: “Abbiamo bisogno di più soldi”. Non dimentichiamo che lui controllava il porto petrolifero. Quando gli ispettori Onu vanno là e fanno delle domande, gli rispondono che gente come Bija sta sulle motovedette per tenere alto il morale del personale. Questo era noto ai governi europei. I governi europei sanno di queste accuse, ma è troppo pericoloso affrontare il tema dei flussi di fronte all’opinione pubblica. Poi pazienza se rendiamo più forti le nostre mafie.

Intervista

Gli Stati europei quindi sanno quello che sta accadendo in Libia. Si può dire che, in buona sostanza, quel paese ci sta ricattando?
Abbiamo fatto in modo che il tema migratorio diventasse l’asset più importante nelle trattative con la Libia e, in questo modo, abbiamo consegnato il coltello nelle mani dei trafficanti. Noi siamo stati percepiti a lungo, dalle milizie libiche, come una sorta di bancomat. Bastava spaventarci con il tema migratorio. La cosa clamorosa è che è ancora in vigore il trattato italo-libico, firmato da Berlusconi, che impone all’Italia di versare 5 miliardi di euro per l’occupazione italiana ed è un arma di ricatto straordinaria. A quel tempo l’accordo era finalizzato ad avere il controllo dei campi petroliferi e quindi ci guadagnavi. Ma adesso la situazione è cambiata con la Russia che entra in campo, la Turchia e la Francia. L’Italia si trova in grande difficoltà.

Hai citato due attori formidabili in quell’area: uno è la Turchia e l’altro è la Russia. Qual è il loro ruolo in quella zona e quali vantaggi si stanno accaparrando?
Putin ed Erdogan sono i protagonisti di una commedia tragica in cui se le suonano di santa ragione, ma poi hanno imparato a negoziare su tutto: è accaduto in Siria, sul Kurdistan iracheno, nel Nagorno Karabakh ed è accaduto in Libia dove Erdogan non ha avuto interesse a rovesciare Haftar, ma tutela il governo di Fayez al-Sarraj riconosciuto dalla comunità internazionale. Putin, invece, ha fatto ritirare Haftar. Oggi abbiamo Putin che apre basi militari e navali vicino a Bengasi nel Mediterraneo centrale. Prima la Russia aveva basi solo in Siria a Latakia. Lo stesso Erdogan sta rinforzando il porto di Tripoli dove ci sono i suoi uomini. L’accordo lo trovano sempre i due.

Che valutazione dai all’Italia e ai suoi governi che, da sempre, lamentano di essere lasciati soli dall’Unione europea e di essere isolati?
L’Italia ha sbagliato tutto ciò che si poteva sbagliare a causa delle velleità di alcuni ministri. E non è un problema solo di destra, perché i guai veri sono iniziati con Minniti. Non dimentichiamoci che Bija arriva in Italia quando lui è ministro. Tutti sapevano di chi si trattava. Una settimana prima del suo arrivo in Italia il Centro alti studi del ministero della Difesa aveva pubblicato un quaderno sul traffico di esseri umani indicandolo come un trafficante. A distanza di tre anni dai fatti e a un anno dalle rivelazioni del nostro giornale, il governo italiano nega di farci sapere chi erano gli altri membri della delegazione libica che hanno partecipato all’incontro in Sicilia del 2017. Questo fa capire che tipo di errori sono stati commessi nel tempo. Poi Salvini, da par suo, non ha potuto fare altro che peggiorare la situazione. Quando diceva “stiamo aprendo campi gestiti dall’Onu”, bisogna sapere che gli fecero visitare un campo che non è entrato mai in funzione.

Parliamo dei decreti sicurezza voluti da Salvini. Quando, pure con lo stesso premier, si è formato un governo diverso, il Pd ha detto che voleva cambiarli. L’impressione è che, dall’epoca Salvini, non ci sia una grande differenza sulle tematiche dell’immigrazione. Tu cosa ne pensi?
Innanzitutto sono cambiati i toni e già questo è qualcosa. Il problema vero è come questo incide sulla vita delle persone. Il problema è che l’Europa è stata assente, perché ha imparato una dinamica che è quella turca. Ovvero dice che la Turchia non può entrare in Europa, ma le si può dare sei miliardi di euro per tenere fermi i migranti con i metodi turchi. E’ un come avviene in Libia dove abbiamo pagato le milizie libiche per tenerseli. Allo stesso modo l’Europa ha sempre pensato che bastasse negoziare dal punto di vista economico con l’Italia. Loro chiudevano un occhio sui nostri sforamenti di bilancio e noi, in cambio, ci tenevamo i migranti. Perché poi la verità è che i migranti in Italia non ci vogliono stare, ma tendono ad andare nel Nord Europa. C’è una responsabilità dell’Europa ma anche dell’Italia che non ha battuto abbastanza i pugni sul tavolo. C’è stata una possibilità di riformare il regolamento di Dublino che prevede che l’esame della domanda di asilo si debba svolgere nel paese di primo approdo. Siccome questi sono sempre Italia e Malta, alla fine le persone restavano qui. C’era la possibilità di riformarlo in base al paese di destinazione finale. Ovvero se uno voleva andare in Germania, la domanda doveva essere esaminata là. Eppure il governo Conte uno ha fatto di tutto per boicottare questa cosa.

Intervista

E perché lo ha fatto?
Probabilmente perché, se da un giorno all’altro sparisce un certo numero di migranti, probabilmente allora qualche politico ha bisogno di cercarsi un altro lavoro visto che non può giocare più su questa emergenza. Oggi qualche cambiamento c’è, ma sul soccorso in mare vedo ancora cose che, se le avesse fatte Salvini, apriti cielo. Non è mai capitato di vedere multare una organizzazione umanitaria come Sea Watch perché aveva troppi salvagente. La tesi è perché così viene dimostrato che va in mare per fare salvataggi. Negli stessi giorni c’è stato un naufragio. I migranti indossavano un giubbetto che gli era stato fornito dai trafficanti libici, ma era tarocco. Quei poveretti avevano pagato per un giubbetto che non serviva a nulla. Ecco perché su quella nave c’erano tutti quei salvagente, perché quelli che vengono forniti dai trafficanti libici vengono comprati su un market cinese a un euro ciascuno e ti fanno affogare. Il governo italiano non sta facendo grossi passi in avanti, perché bisogna continuare a spingere verso questa narrazione suicida e criminale per cui bisogna fare intervenire la guardia costiera libica. Il problema è che quando sbarcano in Libia i migranti finiscono nei campi libici. Se i campi di prigionia fossero gestiti dalle Nazioni unite dove le persone vengono trattate in un certo modo, andrebbe bene, ma ad oggi nessun governo ha mai chiesto alla Libia di sottoscrivere la Convenzione sui diritti dell’uomo.

Non c’è comunque solo la rotta mediterranea, ma anche quella balcanica dove la situazione della Croazia è grave. Le immagini più recenti delle violenze contro migranti e richiedenti asilo sono state pubblicate dal Border Violence Monitoring (BVM), una rete di associazioni che monitora lo stato dei diritti umani lungo quella rotta. Provengono da Poljana, un villaggio di campagna al confine fra Bosnia Erzegovina e Croazia. Ci sono uomini mascherati, armati di bastoni e fruste, che respingono con violenza alcuni migranti verso la Bosnia. I picchiatori, secondo l’inchiesta del BVM, apparterrebbero alle forze di polizia e di sicurezza della Croazia.
C’è una situazione grave anche nei Balcani. Stiamo pubblicando su Avvenire un’inchiesta in due puntate e la terza uscirà a giorni. Fino ad ora sono stati documentati casi di ferimento, tortura e stupro avvenuti in Croazia ai danni dei migranti per respingerli verso la Bosnia e per fare sapere agli altri che arrivano che, se vanno Croazia, gli spezzano le gambe. Molti cercano di passare dall’Ungheria adesso, da Romania e Serbia. Questa primavera era accaduto che, da un giorno all’altro, Erdogan aveva ammassato 300mila migranti sul confine con la Grecia per mettere pressione sulla Ue. Io ero là con un collega italiano e abbiamo assistito a varie forme di violenza. I corpi speciali turchi picchiavano i migranti quando desistevano dal dare l’assalto alla frontiera greca. Le persone vengono usate come arma di pressione sull’Europa. Piano piano passano il confine, si ammassano nei campi in Grecia e poi attraversano la rotta balcanica. Quando arriva un afghano, però, si pone un problema. Hai davanti un pezzo di storia e di contraddizioni, perché tu agli afghani nel 2001 hai detto che scatenavi una guerra lampo per dare possibilità a quel Paese di essere stabile, prospero e democratico. Siamo nel 2020 e il presidente Usa uscente ha firmato un accordo di pace con i talebani che, subito dopo averlo siglato, hanno detto che il loro obiettivo è di istituire un regime basato sulla sharia sulle aree di loro influenza. Dopo vent’anni ti ritrovi al punto di partenza. I milioni di profughi afghani che si sono ammassati in questi anni nei campi in Iran e in Pakistan a cui avevi promesso la democrazia, che le loro figlie sarebbero andate a scuola e non avrebbero più indossato il burqa, si trovano ora come unica alternativa l’accesso all’Europa per vedersi riconosciuti quei diritti. Quindi quando ti trovi davanti un afghano e gli apri la testa in due, come succede in Croazia, ti trovi davanti alle tue contraddizioni. Il diritto umanitario si è sviluppato in Europa e non possiamo fare lo sconto a questo tipo di valori.

Recentemente abbiamo visto a Reggio Emilia il rifiuto delle storiche cooperative che effettuavano il servizio di accoglienza dei migranti a partecipare alla gara per riaffidarlo. “L’Ovile” e “La dimora di Abramo”, in particolare, hanno contestato nello schema dell’appalto la prevalenza assegnata ad un modello di accoglienza in centri collettivi (fino a 50 posti) per un totale di 900 posti sui 1.200 richiedenti asilo ospitati. Una formula che, secondo le coop sociali, non favorisce vera integrazione e crea rischi di diffusione del covid. Il problema, quindi, non è solo l’emergenza sbarchi, ma anche le attività sul lungo termine come l’integrazione, la cittadinanza.
Penso che tutti i modelli di gestione dell’accoglienza basati su strutture di grande dimensione siano fallimentari. Tu puoi fornire i servizi migliori, ma se non riesci a stabilire una relazione fra le persone e il luogo in cui si trovano non stabilisci una relazione di vantaggio per chi è ospitato e chi ospita e getti le basi per generare problemi sociali. Pensiamo a quello che è successo al centro Cara di Mineo in Sicilia che ospitava 4mila migranti in una struttura dove il paese più vicino, Mineo appunto, aveva 2-3mila abitanti. Come puoi parlare di integrazione in un posto in cui la sera ti arrivano 4mila migranti anche di 60 etnie diverse? Il modello di accoglienza che funziona è quello dello Sprar, ovvero di piccoli centri di accoglienza diffusi. Mi ricordo della vicenda di un paio di appartamenti Sprar in un condominio della Torino bene. Ci fu la rivolta del quartiere. Il sindaco di allora riuscì a tenere duro e aprire la strttura. L’anno scorso, quando Salvini fece saltare il sistema Sprar, nel quartiere sono state raccolte 5mila firme di cittadini torinesi che imploravano che lo Sprar non venisse chiuso, perché quei ragazzi erano parte integrante di quel quartiere. Quando gestisci piccoli numeri le persone sono più conosciute ed è un aiuto in termini di sicurezza, perché una persona che è conosciuta è incentivata a rigare diritto. Se sei uno fra i molti non puoi escludere fenomeni di devianza. Poi bisogna guardare ai prossimi 20-30 anni. La logica del chiudiamo tutto e non facciamo entrare nessuno è fuori da qualsiasi schema. Ieri il presidente dell’Istat, che è stato nominato in quota Lega, ha detto una verità, ovvero che abbiamo un problema anagrafico serio che è determinato dal calo dei flussi migratori. Se lo dice lui…