“Io, positivo al Coronavirus. Sei giorni per fare un tampone: non va tutto bene”

6 novembre 2020 | 19:44
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“Io, positivo al Coronavirus. Sei giorni per fare un tampone: non va tutto bene”

Il musicista 29enne Giacomo Bigoni scrive su Facebook: “Il sistema non funziona, se non ho contagiato nessuno è solo per merito mio. Chi ci governa non ha fatto del suo meglio nei mesi scorsi, e ora ne paghiamo le conseguenze tutti”

REGGIO EMILIA – “Quando vi vengono a dire che ‘va tutto bene’ e che si sta facendo il meglio possibile per contenere i contagi, pensateci due volte”. Lo sfogo, su Facebook, è di Giacomo Bigoni, un musicista 29enne reggiano positivo al Coronavirus che racconta la sua esperienza con il tampone e di un’attesa di sei giorni per eseguirlo (è poi risultato positivo) nonostante i suoi sintomi fossero molto chiari.

Sotto al suo post ci sono numerosi interventi di persone che, pure loro, hanno atteso giorni e giorni per avere un tampone. La testimonianza di Bigoni squarcia il velo di silenzio su una situazione che, da qualche settimana, si sta verificando non solo a Reggio Emilia, ma anche nel resto d’Italia. Tempi di attesa eccessivi per fare i test e quindi inefficacia della prevenzione perché, a questo punto, tutto viene lasciato al senso civico di chi, pensando di essere ammalato, smette di avere contatti con altre persone. Anche se non è così semplice perché, se uno deve andare a lavorare, per esempio, come fa?

Scrive il musicista reggiano: “Ieri ho fatto il tampone e sono risultato positivo al Covid-19. Avevo sintomi da una settimana esatta: febbre, ageusia, anosmia, tosse, tutti ormai in piena remissione al momento del tampone (ieri mattina). Ho fatto richiesta per il tampone venerdì 30 mattina e, nonostante fossi soggetto sintomatico, il tampone mi è stato fissato per sei giorni dopo la richiesta. Nel frattempo i miei (pochi) contatti stretti hanno potuto liberamente circolare per giorni e giorni, portando eventualmente in giro il virus se l’avessero contratto da me, tutto perché l’Ausl mi ha fissato il tampone una settimana dopo la comparsa dei sintomi”.

Continua Bigoni: “Da soggetto sintomatico avrei dovuto avere la precedenza, invece sento di soggetti asintomatici a cui fanno tamponi dopo 2 giorni, oppure di bambini a cui hanno fatto il tampone dopo 20 giorni da un possibile contagio (quando ormai più che un tampone sarebbe servito un sierologico). A me hanno fatto aspettare una settimana piena. Non basta: i miei pochissimi contatti stretti sono stati quarantenati brutalmente per due settimane, quando ormai il contatto risaliva a 8-12 giorni fa, e quando ormai avevano fatto in tempo a portare il virus ovunque. La legge prescrive 10 giorni di quarantena + tampone finale per chi ha avuto contatti con un malato Covid, oppure 14 giorni senza tampone finale, a discrezione dell’igiene pubblica. Ovviamente a tutti è stata prescritta la quarantena massima per risparmiare sui tamponi”.

E aggiunge: “Ci sono pochi tamponi, mi direte? Certo, ce ne sono pochi perché fino a due settimane fa sussisteva ancora l’assurda regola del doppio tampone negativo per decretare la guarigione (che ha fatto sprecare una valanga di tamponi), e perché il sistema di tracciamento dei contagi fa acqua da tutte le parti. Se i contatti di un contagiato li tracci solo 8 giorni dopo i suoi primi sintomi, questo può averti già diffuso il virus tra decine di persone”.

La denuncia che arriva in seguito è impietosa e racconta quello che, purtroppo, è già stato evidenziato da molte inchieste negli ultimi giorni che evidenziano come il nostro Paese (certo non il solo in Europa) si sia fatto trovare impreparato sul fronte dei tamponi e del tracciamento (ma non solo) di fronte a questa nuova ondata del contagio che, pure, era prevedibile.

Scrive Bigoni: “Il sistema non funziona, non c’è personale, non ci sono mezzi, c’è disorganizzazione, al telefono e alle mail non ti risponde nessuno, nessuno ti dice cosa devi fare, nessuno si preoccupa di verificare per davvero i tuoi sintomi nè tantomeno di verificare l’entità dei contatti eventualmente avuti con un malato Covid: ti chiudono in casa a scatola chiusa senza porsi domande, e cazzi tuoi se questo significa perdere giorni di lavoro, soldi, opportunità e mettere in difficoltà la tua famiglia. Ti fai la quarantena anche se hai avuto un contatto di 15 minuti a distanza col malato, solo perché lui magari ha fatto il suo dovere di cittadino e per scrupolo ha segnalato anche il tuo nominativo. Capirete bene che, con queste premesse, viene voglia di non segnalare nessun contatto se ti ammali, per non mettere in difficoltà persone che magari hanno avuto una possibilità di contagio minima. Non basta: nonostante la legge prescriva che dopo 21 giorni dai tuoi primi sintomi (e a fronte di una settimana da asintomatico pieno) tu sei libero di uscire di casa, a me ieri è stato inviato un certificato di quarantena della durata di 21 giorni a partire da oggi. Sono già in isolamento precauzionale dal giorno 29 (avevo la febbre, ovvio che sarei rimasto in casa) e ora la mia quarantena scadrà il giorno 26. Il tutto quando io sto già bene, sono in ottima forma e con ogni probabilità sarò pienamente asintomatico tra pochi giorni: ma nessuno si preoccupa di verificare i miei sintomi, molto più semplice chiudermi in casa per un mese e lavarsi la coscienza così”.

Conclude il musicista reggiano: “Nel frattempo se io non ho contagiato nessuno è solo grazie al fatto che mi sono sempre comportato da cittadino iper prudente, rispettando le regole ed evitando come la peste qualsiasi contatto umano nella settimana precedente ai miei primi sintomi. Non certo grazie all’Ausl, che ha pensato bene di dormirci su una settimana prima di farmi il tampone. Il tutto in Emilia-Romagna, una regione considerata tra le più efficienti e col sistema sanitario meglio funzionante. Purtroppo ti rendi conto di queste cose solo quando ci sei dentro: il sistema fa acqua da tutte le parti e durante l’estate niente è stato fatto per potenziare il sistema sanitario, per riorganizzarlo e prepararsi ad una seconda ondata. Chiedete a qualunque medico e vi dirà che sono con l’acqua alla gola. Siamo il solito Paese di gente che non sa guardare al di là del proprio naso, e mi dispiace tanto doverlo dire.
La prossima volta che vi dicono ‘stiamo facendo del nostro meglio per contenere il contagio’, ricordatevi: chi ci governa non ha fatto del suo meglio nei mesi scorsi, e ora ne paghiamo le conseguenze tutti”.