Ink, la lotta atavica fra padre e figlio secondo Papaioannou

27 settembre 2020 | 09:18
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Ink, la lotta atavica fra padre e figlio secondo Papaioannou

Spettacolo potente e avvincente, ma l’impressione è quella di un lavoro ancora in fieri che dovrà essere perfezionato in alcuni passaggi

REGGIO EMILIA – Il sipario si apre su pareti di cellophane nere come l’inchiostro (Ink) che dà il nome all’ultima creazione del coreografo greco Dimitris Papaioannou. Al centro c’è lui, di spalle, pantaloni e camicia nera, investito da un getto d’acqua di un sistema di irrigazione utilizzato per i campi.

In scena due uomini: uno, appunto, è Dimitris, tutto vestito di nero, l’altro è Šuka Horn, una giovane creatura marina che sbuca da sotto le lastre trasparenti che coprono il palcoscenico. Subito viene visto come una minaccia che il primo uomo cerca di contenere schiacciandolo sotto le lastre. Poi il rapporto fra i due cambia e diventa come quello tra un padre e un figlio ed è quest’ultimo che, alla fine, sembra avere la meglio sul genitore.

L’acqua come elemento primordiale, la passione per cinema horror, la poesia di Andrej Tarkovskij e molte altre citazioni pittoriche, fino all’uso delle musiche di Antonio Vivaldi, sono le caratteristiche di questo lavoro di Papaioannou.

Lo spettacolo che abbiamo visto ieri sera al teatro Valli di Reggio Emilia aveva debuttato a Torino in settimana (uniche due città in cui sarà possibile vederlo in Italia) ed è stato coprodotto dal teatro Stabile di Torino e dalla Fondazione I Teatri. L’impressione è quella di un lavoro ancora in fieri che dovrà essere perfezionato in alcuni passaggi. L’inizio è potente, ma poi, piano piano, le immagini diventano meno poetiche e più banali e ripetitive. L’arrivo di Šuka Horn migliora la situazione e la rende più avvincente nel gioco fra i due uomini.

E’ uno spettacolo che andrebbe visto dall’alto, questo, perché la visione dalla platea non è sempre perfetta dato che, per far defluire l’acqua, il palcoscenico non è in pendenza. Alcuni spettatori addirittura, rimproverati dalle maschere, si siedono sulle sedie per vedere meglio i movimenti sul palco. Nel finale l’intensità aumenta con riferimenti al cinema horror e fantascientifico.

Si chiude con Papaioannou che schiaffeggia il polpo (vero o finto?) a terra, sollevando alti schizzi di acqua, come fanno i pescatori quando lo vogliono uccidere dopo averlo pescato. Applausi convinti, alla fine dello spettacolo da parte del pubblico presente.