Appalti “pilotati”, la gara per il nido Maramotti finì pure al Tar

16 settembre 2020 | 17:35
Share0
Appalti “pilotati”, la gara per il nido Maramotti finì pure al Tar

Baby e Job vinse l’appalto e fu esclusa: ma poi perse in tribunale

REGGIO EMILIA – Per Procura e Guardia di Finanza di Reggio Emilia non fu una gara “pulita” quella per l’affidamento della gestione del nido di infanzia “Maramotti” per il triennio 2016-2019, del valore circa 850.000 euro. Parteciparono tre ditte (una venne subito esclusa per non aver conseguito il punteggio tecnico minimo previsto) e l’offerta migliore risulto’ quella della “Baby e Job, srl”.

Che pero’ non vinse l’appalto perche’ il Comune di Reggio, dopo aver verificato la congruita’ della sua offerta provvisoria la dichiaro’ anomala, dichiarando vincitrice la seconda classificata, la cooperativa Panta Rei, gestore uscente del servizio. Per quella vicenda, che risale al 2017 e si trova nelle carte dell’inchiesta della Procura reggiana sulle gare pilotate in piazza Prampolini, sono oggi indagati anche il presidente dell’Istituzione nidi e scuole di infanzia Nando Rinaldi (che all’epoca era funzionario della societa’) e l’ex direttrice Paola Cagliari, attualmente in pensione.

Secondo i pubblici ministeri che indagano, infatti, l’azienda prima classificata fu esclusa “attraverso la predisposizione di motivazioni ad hoc allo scopo di poter dichiarare anomala l’offerta economica presentata cosi’ determinando l’aggiudicazione al secondo classificato”. Che ci fosse qualcosa di strano si era resa conto anche la Baby e Job, che si presento’ quindi al Tar di Parma per far valere le sue ragioni. Prima chiedendo la sospensione dei provvedimenti comunali e poi – per ragioni di tempo visto l’imminente partenza dell’anno scolastico – direttamente la discussione nel merito del ricorso.

La Baby e Job perse la causa contro il Comune, rappresentato dall’allora capo del servizio legale Santo Gnoni, oggi anche lui indagato con l’accusa, tra le altre, di corruzione. I giudici del Tar, respingendo le motivazioni della ricorrente sentenziarono che “il giudizio di incongruita’ dell’offerta in questa sede censurato, come precisato, deve ritenersi connotato da ampi margini di discrezionalita’”.

Pertanto “avuto riguardo delle numerose criticita’ evidenziate e comprovate in sede di verifica, non si consente di rilevare nel complessivo agire dell’amministrazione profili di irragionevolezza e illogicita’ tali da palesare, sia pur sotto il profilo sintomatico, una distorsione nell’esercizio del potere valutativo”. Le spese legali furono “compensate” e cioe’, in deroga’ al principio della soccombenza, ciascuna delle parti sostenne le proprie.

La causa finì anche davanti al Consiglio di Stato e pure lì il Comune vinse (fonte Dire).