Succiso, il paese cooperativa che non si arrende

28 giugno 2020 | 11:06
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Succiso, il paese cooperativa che non si arrende

Viaggio nell’alto ramisetano dove un pugno di uomini e donne ha creato un modello studiato in tutto il mondo. La Valle dei Cavalieri dà lavoro a tutti con ristorante, agriturismo e allevamento

VENTASSO (Reggio Emilia) – “I consigli di amministrazione li facciamo così. La domenica mattina arriva uno e inizia a tagliare del salame, un altro porta del formaggio e un altro stappa una bottiglia di vino. Poi iniziamo a mangiare e discutere. Se c’è qualcuno presente, anche un turista, gli offriamo da bere e lo coinvolgiamo perché magari ha qualche buon consiglio da darci”. Oreste Torri, 71 anni, due bei baffi neri e occhi scuri penetranti, racconta così i Cda della cooperativa Valle dei Cavalieri.

Benvenuti a Succiso, ultimo paese dell’alto ramisetano dove 29 anni fa, per contrastare lo spopolamento del paese, è nata questa realtà che oggi può ben dire di aver vinto la sua scommessa. Il terremoto che ha distrutto il paese negli anni ’20 e la frana che lo ha spezzato in due negli anni ’50, non ha piegato la volontà dei suoi abitanti. Quegli uomini e quelle donne, per dirla con una bella poesia di Abdenago Marchi, che “hanno per scuola l’alpe e la tempesta”. Per loro l’alpe di Succiso, che sovrasta maestosa e minacciosa il paese, come scrive il presidente del Parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano, Fausto Giovanelli, “era fabbrica e casa, giardino e piazza, ma soprattutto scuola di vita”.

E così, in una sfida contro il destino, gli abitanti hanno ricostruito il paese ancora più in alto e, sempre in una battaglia contro lo spopolamento, hanno deciso di fondare la coop Valle dei cavalieri. Un nome che evoca i milites del XII secolo, cavalieri armati, nobili che, in quei secoli, avevano giurisdizione sui contadi di Reggio e Parma.

Lo spopolamento e la rinascita

Nel 1944, a Succiso, vivevano 1.480 abitanti. Erano già scesi a 530 nel 1951, fino ai 188 del 1981. Nel 1990 chiude lo spaccio e per il paese sembra finita. Ma un gruppo di giovani, di cui Oreste faceva parte, decide di non gettare la spugna e fonda la coop dando da lavorare agli abitanti di Succiso in quello che sarà poi chiamato il paese cooperativa. Oggi su 58 residenti, la maggior parte dei quali pensionati, otto lavorano e sono soci della coop e poi ci sono sei stagionali in luglio e agosto. Sabato e domenica si sale a 120 persone, mentre d’estate si contano 500-600 presenze.

Negli ultimi dieci anni sono nati 5 o 6 bambini. Era dal ’93 che non ne nascevano. La coop fattura 700mila euro l’anno grazie all’azienda agricola, al ristorante, al mimarket, e al bar. Alleva 250 pecore che producono 80 quintali di formaggio pecorino e 10 quintali di ricotta. E’ centro turistico del parco. L’agriturismo conta undici camere con servizi che possono ospitare fino a 42 posti letto. E c’è anche una piccola Spa.

E poi c’è il progetto ‘Neve Natura e Cultura d’Appennino’ che porta a Succiso, ogni anno, centinaia di studenti dai 5 ai 18 anni, con le loro scuole. Qui i ragazzi degli Istituti Alberghieri o del Turismo fanno stage e la cucina, premiata lo scorso anno dalla rassegna “Menu a Km Zero”, offre l’opportunità di conoscere i prodotti del territorio, le preparazioni tradizioni e le possibili innovazioni.

Il paese dei lupi
Arriviamo a Succiso a fine febbraio in una giornata da lupi. Fra l’altro il paese è famoso perché qui, nel gennaio del ’49, nella valle della Liocca, fu ucciso l’ultimo lupo dell’Appennino che ora è esposto ai musei civici di Reggio Emilia. Una foto, che ricorda quella giornata, fa tuttora bella mostra di sé nel bar. Si vede la povera bestia caricata sulle spalle del cacciatore e portata in mostra nel paese. Ora, per fortuna, i lupi sono tornati, da decenni, e nessuno li caccia più. Tira un vento fortissimo e sta iniziando una vera e propria bufera di neve. Nel bar gli anziani giocano a carte e raccontano della loro vita di una volta nel paese. Quando c’erano ancora più di un migliaio di persone fra Succiso inferiore, di mezzo e superiore. Quando ancora non era iniziato lo spopolamento e c’era un caseificio che produceva il Parmigiano Reggiano. Dice Enea Torri, 91 anni, uno dei più anziani del paese: “La coop serve eccome e ha tenuto in piedi il paese. Se guardate i paesi qui intorno, sono tutti disabitati e se non c’erano loro, qui accadeva la stessa cosa”.

Albaro, il tuttofare: casaro e pizzaiolo
Albaro Torri è il tuttofare della cooperativa. Ha lavorato per anni come operaio nella storica fabbrica di Reggio Emilia delle Reggiane. Poi ha sposato una ragazza di Succiso e, per quattro anni, ha fatto avanti e indietro dal paese a Reggio per andare a lavorare in città. Un’ora e mezza andare e un’ora e mezza a tornare. A un certo punto ha deciso che era ora di finirla e si è messo a fare il pecorino per la coop. Occhiali, pizzetto, uno sguardo mite, 57 anni, Albaro è passato dalla catena di montaggio delle Reggiane a quella della mungitura delle pecore che gli forniscono il latte per il pecorino. Ma quello del casaro non è l’unico lavoro di Albaro.

Quando ha finito di fare il formaggio, guida lo scuolabus per portare i bambini a scuola a Ramiseto, poi si fionda a dare una mano al bar e ti serve un grappino e, infine, lo puoi vedere esibirsi come pizzaiolo d’estate quando c’è maggiore richiesta di questo tipo di ristorazione. Ci ha fatto, fra l’altro, scoprire una rarità: salame misto di maiale e pecora che producono qui a Succiso, veramente squisito. Ci porta dove produce il formaggio, tutte le mattine, proprio di fianco alla stalla dove vengono munte le pecore e ci racconta con orgoglio prendendo in mano una caciotta: “Questo è un formaggio dell’appennino reggiano. Io lavoro al caseificio da marzo a ottobre. Facciamo ottanta quintali di formaggio e tutti gli anni lo finiamo. Dal ’95 sono tornato qua dopo che abbiamo aperto la cooperativa. Al mattino parto e faccio il formaggio e poi porto i bambini a suola e mi dedico al ristorante”.

Clorinda, la donna che sussurra agli agnelli

I belati ti accolgono appena scendi dall’auto. Entriamo e, di fronte a noi, c’è la stalla con dentro 250 fra pecore e agnelli che producono il latte per il pecorino che, praticamente a centimetro zero, Albaro una porta più in là, trasforma in formaggio. Il rumore dei belati è quasi assordante, ma, dopo un po’, ti ci abitui. A gestire l’allevamento ci sono Cristian e Clorinda. Lui è originario di Campegine e allevava mucche da Parmigiano Reggiano. Poi ha conosciuto e sposato lei, che è di Vetto, e ha iniziato ad allevare pecore. Vita grama, ci raccontano, perché con poche pecore era difficile tirare avanti e così, quanto il pastore precedente, un rumeno che era lì da vent’anni, ha deciso di licenziarsi, sono arrivati loro.

Racconta Clorinda portandoci nella stalla dove stanotte hanno visto la luce due agnellini: “Questi agnellini sono nati questa mattina alle cinque: sono due femmine. Io gli parlo e le chiamo per nome. Sono due ragazze, è come se fossero mie figlie. Sì, parlo con gli agnellini e le pecore. Le umanizzo e anche loro mi parlano con i loro metodi e i loro modi di fare. Quando hanno bisogno di qualcosa io, alla prima occhiata lo capisco. Entro nella stalla e so che loro ti dicono qualcosa”.

Il marito Cristian ci racconta la sua giornata tipo: “Mi alzo alle 4, inizio a governare gli animali e gli do il fieno. Poi, una volta munte le pecore, si inizia a fare la trasformazione per il pecorino. Qui ho trovato una realtà bellissima, con una grande unione che è la vera forza delle famiglie e della gente. In stalla, durante la giornata, c’è sempre qualcuno che arriva e mi viene a chiedere se ho bisogno di qualcosa. Ogni tanto i miei amici mi chiedono: ‘Ma non sei stanco di vivere in montagna? Non ti va di tornare in pianura?’. Ma io non cambierei mai. Sono diventato un selvatico oramai e le pecore ce le ho nel sangue”.

Il capitale umano dei soci della cooperativa
E’ quasi ora di cena, ma prima di metterci a tavola ascoltiamo i racconti del vicepresidente Oreste Torri e del presidente del parco nazionale dell’Appennino tosco emiliano, Fausto Giovanelli. Ci dice Torri: “Succiso è caduto e rinato tre volte. Nel ’21 un forte terremoto lo rase al suolo e nel ’50 ci fu la frana. Tutte le volte il paese è dovuto ripartire per ridare dignità a chi abitava a Succiso. Quando a fine anni Ottanta stavano chiudendo l’ultimo negozio e l’ultimo bar, ci siamo trovati fra i ragazzi della pro loco e ci siamo detti: ‘Dobbiamo creare qualcosa per Succiso’. E così nel ’91 abbiamo costituito la coop. La prima emergenza era il bar. Siamo riusciti a tenere aperto il punto di incontro per gli abitanti. Quando siamo nati pensavamo semplicemente di fare qualcosa per il nostro paese, ma, con il senno di poi, è avvenuto un piccolo miracolo. Ora abbiamo un bar, un negozio, un ristorante e l’agriturismo, l’azienda agricola e il trasporto alunni. Abbiamo dato lavoro alle famiglie e sono nati dei bambini. Era dal ’93 che non accadeva. Di speciale qui c’è questo senso di comunità vera. Possiamo dire che Succiso è la prima esperienza in Italia, e forse al mondo, di paese cooperativa”.

Fausto Giovanelli, 69 anni, ex senatore e presidente del Parco, rivendica con orgoglio di essere stato l’ultimo segretario del Pci reggiano quando il partito comunista si sciolse. “Lo sono ancora – scherza – perché nessuno mi ha mai sostituito”. Montanaro, di Castelnovo Monti, è da 14 anni alla guida del parco. Ci spiega il segreto del successo della coop Valle dei cavalieri: “Quelli di Succiso fanno scuola ai paesi che rischiano di chiudere o che stanno chiudendo, perché le risorse umane di questa cooperativa sono staordinarie. Loro sono un gruppo che è forte per la dimensione umana e collaborativa. Ci abbiamo investito per creare un capitale umano impegnato nell’Appennino e per l’Appennino, convinti che si possono fare, anche qui, professioni dignitose e trainanti per l’economia se ci si crede davvero”.

Enea Torri, la memoria storica del paese

Ci svegliamo al mattino e, fortunatamente, veniamo salutati una splendida giornata di sole che fa brillare i ghiacci a quota duemila metri sull’Alpe che sovrasta il paese. Ne approfittiamo per farci accompagnare da Enea alla scoperta di Succiso inferiore, il paese vecchio in cui lui è nato 91 anni fa. Enea Torri ha 91 anni e si può ben dire che è la memoria storica di Succiso. Ancora lucidissimo, guida l’auto. “Al massimo vado a Ramiseto per prendere la pensione”, ci racconta. Capelli bianchi, sguardo fiero, si commuove ancora al pensiero della moglie Franca che lo ha lasciato tre anni fa. Ci consegna una poesia molto tenera, dedicata ai 62 anni di matrimonio passati con lei. Torri aveva un’azienda che costruiva strade e ha partecipato alla realizzazione dell’arteria che porta a Ramiseto.

Ci accompagna per le vie di Succiso inferiore, ferito dalla frana degli anni Cinquanta, con le sue belle case in sasso, ancora abitate d’estate. Sopra al paese, su una collina, si erge la chiesa di Santa Maria Assunta, ferita dal terremoto del 1920 e poi ricostruita nel 1935. La frana degli anni ’50 l’ha distrutta di nuovo, ma restano, indomite, la facciata e la torre spogliate dall’abside e dai fianchi che sono crollati. Enea ricorda il paese di una volta e ci fa vedere la sua casa. Il paese è pieno di maestà di arenaria e marmo apuano. Fa bella mostra di sé un cippo marmoreo che racconta, con l’immagine della Natività, della nascita di Giovanni Torre, secondo parroco di Succiso. Proprio in quel punto la madre di Giovanni, Giulia, nel 1656, lo diede alla luce mentre tornava da messa dalla pieve di San Vincenzo.

Ci racconta: “Succiso vecchio era un bel paesino. Da ragazzi si andava ‘alle mucche e alle pecore’ e, quando veniva il Ferragosto, era il bello di tutto. Si ballava, si cantava, si beveva e si giocava. Qui, nel ’46, c’erano cento giovani e un’ottantina di ragazze: era pieno di vita. I vecchi si riunivano in piazza di sera e stavano seduti a raccontare la giornata appena passata. Qui c’è stato uno smottamento che, piano piano, ha iniziato a tagliare la strada e ad aprire fenditure profonde in una casa dopo l’altra, fino a che sono diventate pericolanti e gli amministratori sono intervenuti per fare i lavori. Ma, visto che non si poteva fermare la frana, hanno deciso di spostare il paese. Io ho contribuito a realizzare la strada che porta fino a qui: facevo il capocantiere. Le case che sono rimaste, un po’ diroccate, i proprietari le hanno sistemate e d’estate vengono qua, ma la coop è quella che tiene in piedi il paese”.

Il premio a Madrid
Pranziamo e veniamo sorpresi, per l’ennesima volta, dalla bravura dello chef in cucina che prepara piatti della tradizione con grande sapienza. Al termine del pasto ci raggiunge il presidente della cooperativa, Dario Torri, che ci offre un bargnolino , un liquore ricavato dalle bacche del prugnolo selvatico veramente squisito. Ci racconta dello spopolamento della montagna e di come bisogna contrastarlo anche per combattere i cambiamenti climatici. Lo salutiamo e torniamo verso valle lasciandoci alle spalle Succiso e la sua bella storia.

La storia di un gruppo di montanari dalla testa dura, ma dal cervello fino che ha costruito un’esperienza che è arrivata ad ottenere perfino un riconoscimento dall’Onu. Nel gennaio del 2018, in occasione della 38esima edizione della Fiera internazionale del Turismo di Madrid, luogo di incontro annuale per migliaia di buyers internazionali e operatori del settore, la cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri di Succiso (Re) ha vinto il secondo premio per l’Eccellenza e l’Innovazione nel Turismo istituito dall’Organizzazione Mondiale del Turismo (Unwto) che fa parte del sistema Onu, nella categoria imprese. E’ un premio allo straordinario lavoro di un gruppo di persone che, magari, prese singolarmente, potrebbero non sorprendere, ma che, collettivamente, sono riuscite a costruire una squadra in grado di superare ostacoli enormi. E’ la forza dei singoli, messa in circolo in una comunità, che ha permesso a questi oramai ex ragazzi di immaginare un futuro per il loro paese e di diventare un esempio, studiato in tutto il mondo, di cooperativa di comunità.

Video a cura di: Francesco Raganato, regista e Marco Corso, drone dall’alto

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