Il processo alla 'ndrangheta |
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Aemilia 1992, difesa Ciampà: “Mio assistito come Tortora”

19 giugno 2020 | 15:58
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Aemilia 1992, difesa Ciampà: “Mio assistito come Tortora”
Aemilia 1992, difesa Ciampà: “Mio assistito come Tortora”
Aemilia 1992, difesa Ciampà: “Mio assistito come Tortora”

L’avvocato Colacino: “Un boss che serve un caffe’ e’ inconcepibile nella logica della ‘ndrangheta”

REGGIO EMILIA – Antonio Ciampa’, detto “coniglio”, come Enzo Tortora. Ad accomunare il conduttore televisivo ingiustamente incarcerato sulla base di accuse false e il presunto capo di una delle piu’ potenti famiglie di ‘ndrangheta del crotonese portato sul banco degli imputati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, e’ Luigi Colacino, avvocato cutrese che difende Ciampa’ nel processo “Aemilia 1992”.

In un’arringa particolarmente infervorata durata circa tre ore, il legale ha illustrato questa mattina in Tribunale a Reggio Emilia tutti gli elementi che, a suo dire, escluderebbero il coinvolgimento del suo assistito, “ad oggi incensurato”, negli omicidi di Nicola Vasapollo e Giuseppe Ruggiero, che insanguinarono nell’autunno di 28 anni fa la provincia reggiana.

Nella tesi dell’accusa – che ha chiesto l’ergastolo per Ciampa’ e altri tre imputati – Colacino ravvisa infatti incongruenze tali, da imporre invece un giudizio di assoluzione. Come fatto anche dall’avvocato della difesa del boss Nicolino Grande Aracri, il legale si rivolge costantemente ai giuidici popolari della Corte d’Assise, a cui ricorda piu’ volte che “una sentenza di ergastolo e’ la morte per una persona”.

Tornando al paragone con il “caso Tortora” l’avvocato affronta a lungo il tema dell’attendibilita’ dei pentiti (Angelo Salvatore Cortese e Antonio Valerio), definiti “una fonte inquinata da cui prendere l’acqua”. Avrebbero avuto infatti buon gioco, dice Colacino, da un lato ad autoaccusarsi di delitti per i quali – nel caso di Cortese – erano gia’ stati assolti e, dall’altro, ad ancorare le loro dichiarazioni alle figure degli imputati, che non possono essere chiamati ad essere ascoltati dai difensori perche’ sarebbero ritenuti non credibili.

L’avvocato Colacino si concentra in particolare su Cortese, principale accusatore di Ciampa’, citando a piu’ riprese le sentenze passate in giudicato dei processi celebrati negli anni ’90 per i due omicidi (in cui sono stati condannate altre persone). In una delle quali, in particolare, si legge: “Le indagini svolte non hanno permesso di trovare riscontri alle dichiarazioni di Cortese”.

Antonio Valerio, invece, “non aggiunge nulla in relazione al mio assistito, perche’ le sue dichiaarazioni sono ‘de relato’ cioe’ rifeirite da terzi”, spiega il legale. Anche in relazione al movente degli omicidi, prosegue, i vecchi atti giudiziari “dicono tutt’altro”. Vasapollo e Ruggiero, secondo il Pm Beatrice Ronchi, andavano infatti eliminati per aver osato sfidare i potenti boss Ciampa’, Dragone, Arena e Grande Aracri, andando ad uccidere a Cutro, il 13 agosto 1992, un protetto dei Ciampa’: Paolino Lagrotteria.

Quest’ultimo ammazzato per vendetta perche’ 13 anni prima era scappato lasciando morire tra le fiamme di un locale notturno a Reggio Emilia l’amico Giuseppe Vasapollo col quale, per intimidire i proprietari, aveva appiccato l’incendio poi sfuggito di mano. Le vecchie carte processuali, invece, parlano di agguati maturati nel contesto del narcotraffico. Ma la prova regina che scagionerebbe Ciampa’ e gli altri sarebbe per Colacino il fatto che i due collaboratori Valerio e Cortese sono discordanti nell’affermare, o meno, la partecipazione al gruppo di fuoco del killer di Cremona Aldo Carvelli. Un dettaglio che, anche se a distanza di anni, nessuno dei due pentiti avrebbe dovuto dimenticare.

Infine il profilo del “coniglio” di spietato capomafia, mal si adatta al Ciampa’ di allora e di adesso. “All’epoca – spiega l’avvocato – faceva tre lavori: allevatore, barista e dipendente.

Un boss che serve un caffe’ e’ inconcepibile nella logica della ‘ndrangheta e ancora di piu’ che faccia le riunioni al bar di Cutro, che quella e’. Di cosa parliamo allora?”. E ancora non regge che Ciampa’ possa aver scalato le gerarchie criminali “senza aver mai rubato nemmeno una macchina, compiuto alcun fatto di sangue (le sentenze lo dimostrano) e perfino avendo lasciata invendicata la morte del padre ammazzato”. E’ infine inverosimile che, come sostiene l’accusa, possa essere andato da latitante a San Luca, tempio della ‘ndrangheta per eccellenza, a incontrare il boss Antonio Pelle.

Perche’ li’ “se i boss si muovono scattano 86.000 controlli, e chi porta un latitante e’ un cretino con la patente”. Allora, conclude Colacino, “non abbiamo niente. Ciampa’ e’ uno che lavora, allo stato attuale e’ incensurato ed e’ sicuramente abnorme rispetto ai criteri dell’appartenenza alla ‘ndrangheta”. Di conseguenza, va assolto (Fonte Dire).