“Amore breve” e “La riconoscenza”

22 maggio 2020 | 08:48
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“Amore breve” e “La riconoscenza”

“Scrittori silenziosi” è una rubrica giornaliera, offerta da Reggio Sera per pubblicare i pensieri, le sensazioni e le riflessioni dei reggiani in questo tragico periodo

REGGIO EMILIA – “Scrittori silenziosi” è una rubrica giornaliera, offerta da Reggio Sera per pubblicare i pensieri, le sensazioni e le riflessioni dei reggiani, mentre sono costretti, in questo tragico periodo, all’isolamento totale.

Argomenti – racconti e poesie
Hai scritto un breve racconto o una o più poesie? Hai descritto un evento personale, il tuo stato d’animo durante questa solitudine? Hai raccontato il tuo dolore o la tua gioia per qualche felice occasione, per la guarigione di qualcuno, per un amore spuntato o separazione dolorosa o per un lieto incontro o triste perdita?

Invia il tuo scritto per mail a bassmaji.jean@libero.it. Oggetto: Scrittori Silenziosi. Non inviare a Reggio Sera.

Amore breve

Avere in memoria un amore breve
è come aver generato
un figlio morto appena nato
Ti rimane in mente per tutta la vita
il sapore dell’amaro in bocca e
i pensieri vaghi
ti assalgono
e la curiosità ti impone la domanda:
come sarebbe stato se fosse nato?
e come sarebbe cresciuto
quel figlio morto?
Ti sforzi per convincerti
che era più giusto
non fosse stato concepito

Jean Bassmaji

La riconoscenza

In un tempo lontano visse il sapiente Omar uomo dalla carnagione scura e dal fisico minuto e fragile, che dedicò la sua vita a predicare l’amore per il prossimo.

Egli divenne famoso per la sua grande bontà e saggezza dapprima nella sua città natale, poi, a mano a mano che la sua fama cresceva, anche in altre parti del mondo e da molti fu considerato un saggio.

Di lui si racconta che un giorno chiamò a sé il figlio e gli disse: “Figlio, cerca sempre di mangiare i cibi migliori, di dormire nei posti più tranquilli e lussuosi, di fissare la dimora dove più ti piace e di godere il più possibile delle grazie e delle gioie che la vita può offrire”.

Il figlio stupito rispose: “Padre caro, quello che dite è incredibile. Nonostante vi abbia udito con le mie orecchie e guardato con i miei occhi mentre parlavate, non esito un solo momento ad affermare che ciò che ha detto la vostra bocca non è opera del saggio Omar. Ciò che ho udito è argomento che appartiene a uomini ricchi e potenti, che posseggono il denaro e al denaro appartengono”.

Sorridendo dolcemente Omar, come solo lui sapeva fare, disse: “Il nocciolo della questione è questo: tutta la gente crede che le grazie della vita si ottengano con il denaro, ma ignora che molto denaro, se non è accompagnato dalla saggezza e dall’intelligenza, procura molti dispiaceri. Il padrone del denaro passa gran parte della sua vita preoccupandosi di incrementare il suo patrimonio, senza rendersi conto che il denaro in sé non porta felicità, ma che è la maniera in cui vive che può renderlo sereno. Prima non intendevo dire che tu debba mangiare i cibi più costosi e prelibati e che tu debba dormire nei posti più raffinati e lussuosi o amare le donne più belle o ancora possedere case costruite con oro e argento. Quello che voglio dire è che se tu provassi la privazione e mangiassi con la vera fame, qualunque cibo per te diverrebbe prelibato e che se lavorassi fino al limite delle tue forze, dopo faresti un bel sonno e dormiresti così bene che ti sembrerebbe di aver dormito nel fasto.
Basta poi che osservi intorno a te le disgrazie e le sofferenze degli altri perché la tua vita al confronto ti appaia bella e divertente. Se poi sarai gentile e amabile con le persone che incontri potrai porre la tua dimora ovunque vorrai”.

Del saggio Omar si racconta che da giovane fu venduto come servo a un bravo padrone, il quale più lo frequentava più ne scopriva la saggezza e la bontà d’animo, sino al punto che fu trattato come un figlio. Il padrone cercava di portargli il massimo rispetto e di offrirgli sempre le cose migliori che possedeva, per dimostrargli la sua stima.

Un giorno di fine primavera portarono al signore dal suo feudo la primizia di un melone che aveva proprio un aspetto gustoso. Il padrone ne tagliò una fetta e la offrì al servo, il quale la mangiò con gusto. Il signore, felice della sua azione, continuò a offrirgliene e pezzo dopo pezzo notava apparire un’immensa soddisfazione sul volto di Omar, finché rimase solo una fetta e il padrone decise di assaggiarla. Ma appena mise in bocca il melone provò un tale disgusto per il suo sapore acido e amaro che dovette andare a sciacquarsi immediatamente la bocca.

Tornato dal servo Omar, gli disse: “Caro amico, che amaro melone ti ho offerto senza saperlo. Come hai potuto mangiarlo senza mai lamentarti e dimostrando persino di gradirlo? Perché tanta pazienza?”. Omar, sorridendo dolcemente come solo lui sapeva fare, rispose: “Sì, il melone era molto amaro, ma da tanto tempo io ricevo da te dolcezza e affetto; per una volta che mi hai dato amarezze, come potevo lamentarmene? Tu mi hai tenuto tanto caro e io ho cercato di ricambiarti. Spesso sono io a dire alla gente di essere riconoscente verso la bontà altrui; quindi, come potevo non fare in prima persona ciò che predico ad altri di fare? Desideravo che mi donassi anche l’ultima fetta, così tu saresti stato contento per la bontà di cui mi facevi dono e io sarei stato felice di renderti contento”.