Editoriali

Un 25 Aprile blindato, ma i partigiani non sono restati casa

26 aprile 2020 | 08:27
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Un 25 Aprile blindato, ma i partigiani non sono restati casa

Chi ha combattuto il virus del nazifascismo non è rimasto fra le sue quattro mura aspettando che finisse. Per ricostruire questo Paese dobbiamo fare come loro: smettere di avere paura di morire

REGGIO EMILIA – Una mattina mi sono alzato e ho scoperto che ho passato la festa della Liberazione chiuso in casa. Sono solo io ad essermi accorto di questo ossimoro o l’ha notato anche qualcun altro? Abbiamo trascorso la giornata del 25 Aprile senza poter mettere il naso fuori dalla nostra porta.

Abbiamo visto lo struggente e bellissimo video diffuso dal nostro Comune in cui alcuni musicisti suonano, nei luoghi più iconici di Reggio Emilia, le note di Bella Ciao, la abbiamo sentita cantare dai Modena City Ramblers nella loro trascinante versione folk irlandese dal balcone del palazzo municipale e, infine, abbiamo ascoltato il sindaco che elogiava la “forza un intero popolo ha limitato la propria libertà per perseguire un bene supremo, ovvero quello della salute”.

Sì, tutto bello e giusto, condito con quel pizzico di retorica che non si può evitare nei passaggi importanti della storia di un Paese. Però io stamattina mi sono alzato e continuo a pensare che ho passato la festa della Liberazione chiuso in casa. Le metafore belliche non mi piacciono, ma visto che in questo periodo dilagano, ne approfitto anche io. Se questa è una guerra, allora dobbiamo pensare a come l’hanno affrontata i nostri partigiani che noi, giustamente, ogni anno onoriamo. Si sono chiusi in casa ad aspettare che la dominazione nazifascista finisse? No, hanno preso le armi e sono andati in montagna. Non è proprio un #restateacasa.

E non sono restati a casa nemmeno i tanti altri italiani che, in quel periodo, hanno sostenuto e aiutato in tutti i modi la Resistenza pagando con la vita le loro scelte. Allora la domanda è: abbiamo onorato in modo giusto la loro memoria restando chiusi in casa? C’è chi direbbe di sì, perché questo nemico lo si sconfigge evitando il contatto con le altre persone. Ma ci sono esperienze di altri paesi europei e non che dimostrano come chiusure con meno restrizioni, sia per quel che riguarda le libertà individuali che per quel che riguarda le attività economiche, hanno portato comunque a buoni risultati.

I nostri governanti lodano spesso il senso di responsabilità degli italiani. Tuttavia costringere le persone a restare chiuse in casa, perché si ha paura di prendere una multa da 400 euro non è fare leva sul senso di responsabilità, ma sulla paura e sulla costrizione.

Vediamo spesso i nostri vecchi andare in giro nelle nostre città e ci domandiamo come mai proprio loro, che sono quelli più a rischio, si ostinano ad uscire e a rischiare. La risposta, in realtà, è molto semplice. La loro generazione ha fatto la guerra, ha preso le armi contro il nazifascismo, ha ricostruito un Paese soffrendo la fame. Hanno combattuto e vinto il virus del nazifascismo vivendo e soffrendo in condizioni molto peggiori delle nostre. Ecco perché il Coronavirus non li preoccupa quanto noi.

Ci sarà molto da fare per ricostruire questo Paese quando tutto questo sarà finito. Per riuscire in questa impresa e tornare a vivere, però, e questo è un altro ossimoro, dobbiamo anche smettere di avere paura di morire, esattamente come hanno fatto i nostri partigiani l’8 settembre del 1943.

Paolo Pergolizzi