La testimonianza

La storia: “Io, con la moglie malata, ma senza tampone: untore senza saperlo”

27 aprile 2020 | 16:20
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La storia: “Io, con la moglie malata, ma senza tampone: untore senza saperlo”

La storia di Miles Barbieri: “L’ho curataa per un mese e non mi hanno mai fatto il test. Dopo infinite insistenze, quattro giorni fa, l’ho fatto e sono risultato positivo”

REGGIO EMILIAUn mese fa a mia moglie è stato diagnosticato il coronavirus, con febbre alta, ma senza problemi respiratori. Non necessitando pertanto di trattamenti di terapia intensiva, le sono stati prescritti l’isolamento e la cura domiciliare. Per tre settimane l’ho accudita personalmente e, nei giorni scorsi, il doppio tampone ha fortunatamente confermato la piena guarigione.

Durante tutto questo periodo, tuttavia, continuavo a domandare come mai io non fossi sottoposto ad alcun test e il medico curante, sconsolato, mi rispondeva che le tassative disposizioni dell’Ausl prevedono di fare tamponi solo ai sintomatici.

Memore del fatto che, fin dallo scorso gennaio, una delle poche certezze sul Covid-19 era la sua elevatissima capacità di contagio, mi sono chiesto come fosse possibile che l’Ausl non disponesse di testare anche i conviventi di pazienti risultati positivi. In seguito ho saputo che è di competenza dell’Igiene Pubblica seguire i positivi ai “domiciliari” e loro conviventi.

Nonostante l’assenza di sintomi, la mia coscienza civica mi ha imposto di insistere finché, finalmente, quattro giorni fa mi è stato fatto il tampone e, come volevasi dimostrare, sono risultato positivo: quindi un potenziale “untore” asintomatico.

Adesso potrei contagiare nuovamente mia moglie e chissà, forse avrò involontariamente contagiato altre persone recandomi a fare la spesa e in farmacia nei giorni scorsi, seppur cercando di osservare tutte le attenzioni possibili. E quanti altri reggiani si trovano nella mia situazione? Quali sono i numeri reali del contagio se non si fanno tamponi a chi probabilmente è stato infettato?

L’impressione è che i protocolli sanitari non siano stati redatti seguendo logiche intuitivamente efficaci di screening della popolazione, contenimento del contagio e cura – come quelle messe in campo, ad esempio, in Corea del Sud e in Germania – ma che siano stati adattati, di volta in volta, alla (in)disponibilità del momento di mascherine, tamponi, reagenti, posti letto in terapia intensiva, soldi, eccetera.

Non servono task force con tanti scienziati (o pseudotali, che in questi mesi ci hanno detto tutto e il contrario di tutto) , mega direttori, dirigenti, coordinatori, consulenti per intuire che spesso servirebbe solo tanto buonsenso, proprio quello che forse manca a chi di dovere.

Miles Barbieri