Coronavirus, su Reggio i fari dell’antimafia di Bologna

23 aprile 2020 | 19:51
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Coronavirus, su Reggio i fari dell’antimafia di Bologna

Il procuratore Amato: “Contro le infiltrazioni puntiamo sui reati spia”

REGGIO EMILIA – Dopo i “precedenti” del processo Aemilia e dell’inchiesta Grimilde la provincia di Reggio Emilia resta sotto osservazione rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose agevolate dall’emergenza coronavirus. Lo assicura il procuratore distrettuale Antimafia di Bologna Giuseppe Amato che, intervenuto alla riunione in videoconferenza convocata oggi dal prefetto reggiano Maria Forte, garantisce come “il territorio di Reggio e’ monitorato e controllato anche giudiziariamente”.

Amato sottolinea inoltre che “valorizzando i ‘reati spia’ (furti, incendi e danneggiamenti, ndr), si avra’ l’opportunita’ di gestire incisivamente anche questo momento di crisi con un’ottima capacita’ prevenzionale”. Sulla stessa linea anche il Procuratore capo di Reggio Marco Mescolini mentre per il prefetto “va rafforzata l’economia legale, al fine di consolidare i settori produttivi e commerciali dagli appetiti criminali, precludendo l’apertura di ogni spazio”.

L’associazione bancaria Abi, attraverso il proprio rappresentante ha assicurato che saranno messi in atto “capillari controlli nell’erogazione di prestiti creditizi”, mentre per il sindaco Luca Vecchi va innalzata l’attenzione sulle possibili infiltrazioni criminose non solo nel settore delle opere pubbliche ma anche nell’economia privata. Dal primo cittadino arrivano poi perplessita’ sullo sblocco degli investimenti pubblici attraverso modalita’ esemplificate.

Intanto anche alcuni detenuti al 416 bis coinvolti nelle inchieste reggiane sulla ‘ndrangheta stanno chiedendo tramite i loro difensori di poter scontare la pena ai domiciliari invocando il timore di ammalarsi in carcere di coronavirus. Tra questi Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore campione nel mondo con la nazionale nel 2006 condannato a 19 anni in Aemilia, Carmine Sarcone, considerato il reggente della cosca a Reggio Emilia dopo gli arresti dei fratelli Nicolino e Gianluigi, Carmine Muto (classe 71) e Cosimo Amato, figlio del condannato in Aemilia Francesco, arrestato insieme ai fratelli per la tentata estorsione ad alcune pizzerie di Reggio contro cui erano stati esplosi dei colpi di pistola.