Le Cicogne: “Punti nascita, cos’è questo protocollo sperimentale?”

30 gennaio 2020 | 16:31
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Le Cicogne: “Punti nascita, cos’è questo protocollo sperimentale?”

La portavoce Nadia Vassallo: “Bonaccini ci ha raccontato storie sia per chiudere che per non riaprire, ma gli abbiamo smontato gli alibi e le elezioni hanno fatto il resto, ora deve dimostrare cosa vale la sua parola”

REGGIO EMILIAL’elezione regionale ha impresso una svolta nei tempi, nei contenuti e nelle riflessioni postume. Andiamo per schemi.

I punti nascita
Sono stati due anni di attraversata del deserto senz’acqua: siamo stati abbandonati dal sindaco Bini, da tutti quelli dell’Unione, dalla Provincia, dai sindacati Cgil, Cisl e Uil, dall’Anpi, dal Pd partito di governo locale. Si è consumato il patto dell’omertà, altro che patto della Cicogna.

Poi è iniziato il gioco cinico dello scaricabarile: Bonaccini che a dicembre 2018 si diceva pronto a riaprire, ma solo se cambiavano i parametri nazionali e i 5 Stelle di governo che dicevano che era solo competenza di Bonaccini riaprire o meno.

Noi non abbiamo mai mollato né fatto sconti ad alcuno, abbiamo sempre accettato di approfondire qualsiasi percorso si mostrasse utile per la riapertura, abbiamo sempre tenuto vivo nel cuore e nella mente della gente e dei politici il problema, in una lotta impari e contro tutti. Crediamo che se i punti nascita siano stati l’elemento caratterizzante della campagna elettorale in Emilia sia dovuto a questa nostra determinazione.

Alla fine Bonaccini ha dovuto piegarsi, la farsa dei parametri inscenata il 13 gennaio 2020 non aveva neanche il conforto di riferimenti normativi corretti, e se ha deciso di prendere l’iniziativa di riaprire i 4 punti nascita di montagna (tre chiusi da lui, Porretta chiuso da Errani) è stato perchè i sondaggi gli mostravano chiaro il conto delle sue scelte: non basta mandare qualche milione di euro in montagna per essere ringraziato.

Ora si è aperto uno scenario nuovo: Bonaccini ha speso parole per sé e per il Governo, ha inviato un protocollo sperimentale al Ministero da approvare entro 60 giorni, ha predisposto un piano di fornitura delle risorse necessarie per la riapertura, è stato riconfermato al suo incarico, ora deve passare ai fatti. Morale: ci ha raccontato storie sia per chiudere che per non riaprire, ma gli abbiamo smontato gli alibi e le elezioni hanno fatto il resto, ora deve dimostrare cosa vale la sua parola e la sua capacità di risolvere i problemi.

Noi avremmo preferito seguire la legge ordinaria senza tanti tornanti: aprire i punti nascita garantendo gli standard di sicurezza previsti dalla legge accompagnando la mossa con la richiesta di revisione della deroga al vincolo del numero minimo dei parti per evidenti esigenze orogeografiche.

Ma dover ammettere di aver manovrato perché si arrivasse ad un parere negativo non è nelle corde dei politici, e per questo dobbiamo tutti attendere che venga reinventata l’acqua calda. Quindi ora siamo nell’iperspazio della legge e della scienza.

Cos’è questo Protocollo Sperimentale? Chi l’ha redatto? Chi l’ha visto? Chi l’ha approvato? Cosa dice? Ha tenuto conto degli standard richiesti o ha scritto due cose tanto per poi farsele bocciare a Roma? Le risorse professionali dove verranno prese? Quando? Come saranno organizzate? Cos’è questa storia dell’adesione volontaria delle partorienti? Si chiede loro di essere cavie umane di un esperimento pericoloso? Si vuole spaventare e quindi allontanare il possibile bacino delle partorienti? Ci si vuole deresponsabilizzare lasciando il cerino in mano a mamme sconsiderate? Chi seguirà questa sperimentazione? Quanto saranno trasparenti i dati? Quanto sarà possibile intervenire?

Sono tutte domande che esigono risposte. E a queste domande noi aggiungiamo le nostre richieste: noi Cicogne, con i nostri volontari e con i nostri medici di riferimento, vogliamo esserci sia nella fase della elaborazione che in quella del controllo, perché come minimo non ci fidiamo e perché siamo stanche della vergognosa esclusione che da due anni è perpetrata contro di noi. La gestione della sanità pubblica non può essere intesa come faccenda privata, di un partito, di un sindaco o di un presidente di regione. E’ qui che si misura la democrazia.

Non ci sta bene che il sindaco di Castelnovo, oltre ad aver bocciato tutte le nostre iniziative per la riapertura, ci abbia anche escluso dal tavolo provinciale della sanità, dall’Unione, sia andato al Ministero negandoci l’accesso, ed oggi chiuda anche il tavolo Insieme per il Sant’Anna perché non vuol sentire critiche. Non staremo mai in atteggiamento di adorazione: diciamo quel che a nostro parere è giusto, anche se non gradito. La personalizzazione permalosa è una brutta caratteristica che non può essere motivo per escludere e portare risentimento.

Occorrerebbe avere un alto senso critico del proprio agire: ancor oggi il sindaco Bini esternalizza le responsabilità del brutto risultato elettorale in montagna salvando però sé stesso e Bonaccini. Getta la colpa ai consiglieri regionali dicendo “servono amministratori più vicini a noi” ma si è dimenticato che lui, primo sindaco fra i sindaci della montagna, ci fece trovare la sala deserta quando proponemmo agli amministratori l’appello per la riapertura del punto nascita.

Le elezioni
Dopo aver invitato a votare secondo coscienza e aver criticato l’operato di Bonaccini, prendiamo atto che la montagna reggiana e di tutta la Regione ha preferito votare contro il presidente uscente. Non crediamo che ciò sia dovuto ad un minor tasso di antifascismo.

Pensiamo invece che la celebrazione del buon governo emiliano romagnolo sia stridente con il senso di abbandono che qui si prova, aggravato da scelte che indicano la lontananza del governo regionale, quali la chiusura dei servizi di prima necessità come i punti nascita.

La prosa ripetuta come una litania della “Strategia delle aree interne” non fa innamorare nessuno, perché tutti sono coscienti che la montagna non si salva dimostrando di aver racimolato qualche fondo economico in più, che non cambiano il verso e che sono difficilmente rintracciabili in opere che rimangono.

Il 70% del territorio italiano continua ad essere abbandonato dalla poca gente che ancora lo abita, e per indorare la pillola c’è chi definisce questo fenomeno come opportunità per supplire alla deforestazione amazzonica. O si hanno idee e si ha la forza di sostenere scommesse per invertire la tendenza con interventi strutturali radicali, o tutto si perde nella ipocrita omelia delle promesse elettorali fatte da falsi preti di campagna.

La congestione delle metropoli padane e l’abbandono della montagna possono essere risolte in positivo, attraverso piani veri di sviluppo della vita e del lavoro in montagna che partono da nuove strade per dimezzare i tempi di percorrenza, per arrivare alla defiscalizzazione e a finanziare ogni forma di radicazione compatibile in montagna.

Il prossimo incipit del modo di intendere la politica per la montagna lo capiremo dalle scelte della sanità in questa provincia: è chiaro ormai a tutti che sei ospedali sono ridondanti e insostenibili, una riorganizzazione è doverosa e non si possono più sopportare le fantasiose soluzioni di un PAL che sembra una rete per spedizionieri di esseri umani.

Quindi ci chiediamo: faranno ancora cassa tagliando Castelnovo come già hanno fatto tagliando i punti nascita in montagna? O potenzieranno Castelnovo in chiave di presidio del territorio e ottimizzeranno le risorse chiudendo Scandiano e/o Montecchio? Tocca a Bonaccini agire. Come dice Bini: “Non ci sono più alibi”. E non ci sono più soprattutto per lui e per Bini stesso, aggiungiamo noi, sperando che abbiano capito la e-lezione.