Editoriali

London Bridge, una vita per una vita

1 dicembre 2019 | 08:00
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London Bridge, una vita per una vita

Quel che è accaduto su quel ponte a Londra suscita riflessioni inevitabili sul concetto di rieducazione dei condannati e sul fatto che, a tutti, dopo un’adeguata punizione, possa essere data una seconda possibilità

REGGIO EMILIA – C’è una sottile linea rossa che, a distanza di 15 anni, lega i destini di un uomo e di due donne. Quell’uomo si chiama James Ford e loro sono Amanda Champion e una donna di cui ancora non sappiamo il nome. Amanda era una ragazza con difficoltà di apprendimento che è stata uccisa da James nel 2003: l’uomo l’ha strangolata e le ha tagliato la gola. L’altra donna è stata salvata, sempre dallo stesso uomo, dalla furia omicida di Usman Khan sul London Bridge, in un freddo pomeriggio di novembre, venerdì scorso.

E’ James Ford l’uomo che vedete nella foto con il coltello in mano che ha appena strappato al terrorista che, poco dopo, verrà ucciso dalle forze dell’ordine londinesi. Uno degli eroi del London Bridge è dunque un assassino, condannato a 15 anni che, quel giorno, si trovava a passeggiare sul ponte grazie a un permesso premio. La famiglia di Amanda ha subito commentato che quell’uomo non è un eroe, ma che è solo “un assassino in libera uscita”. Questo è comprensibile.

Quello che però è indubbio e pone interrogativi interessanti è che, se quell’uomo fosse rimasto in carcere, non avrebbe salvato quella donna. Il gesto di James Ford, forse, è solo la reazione di un uomo coraggioso e sprezzante del pericolo, magari ancora violento e capace di uccidere di nuovo. Ma potrebbe essere anche interpretato come il gesto di un uomo che ha avuto modo di riflettere in questi anni su quello che ha fatto e l’altro giorno, su quel ponte, ha trovato il modo di redimersi.

Questo noi non lo sappiamo, perché la risposta a queste domande la può dare solo lui e forse ancora non la sa nemmeno. Quel che è certo è che quello che è accaduto sul London Bridge suscita riflessioni inevitabili sul concetto di rieducazione dei condannati e sul fatto che, a tutti, dopo un’adeguata punizione, possa essere data una seconda possibilità.

Paolo Pergolizzi