Kessabi, da calciatore ad agente sportivo: “Il razzismo nel calcio è un cancro”

30 dicembre 2019 | 08:46
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Kessabi, da calciatore ad agente sportivo: “Il razzismo nel calcio è un cancro”

L’ex giocatore del Quattro Castella parla del suo nuovo lavoro: “Serve tanta volonta, ma anche un pizzico di fortuna”

QUATTRO CASTELLA (Reggio Emilia) – “Il razzismo è un vero e proprio melanoma civile, a fronte del quale le leghe calcistiche non possono, non devono limitarsi a spendere denaro per campagne e spot pubblicitari, più o meno riusciti”. Lo dice l’ex calciatore Salim Kessabi, italiano di origini marocchine, che da Quattro Castella è passsato alla ribalta internazionale. Conosciamolo meglio nella sua nuova identità di agente sportivo. Un passato da calciatore che si è aperto ad una nuova realtà.

Signor Kessabi, lei è riuscito nell’impresa di passare dal calcare un campo da calcio di provincia a ricoprire il ruolo di agente sportivo. Il mondo che la circonda è lo stesso, ma la prospettiva da cui lo affronta è opposta e più ampia. In cosa crede di essere cresciuto e cosa teme di aver perso?
Forse non sarò originale, ma se ho saputo raggiungere dei risultati degni di nota, questo è dovuto soprattutto a tanta forza di volontà e a quel pizzico di fortuna che mi ha assistito in alcuni momenti. Di certo c’è che, come calciatore, ho avuto l’opportunità di conoscere e studiare bene il dietro le quinte di questo sport, riuscendo ad apprezzare l’analisi tecnica della prestazione di un giocatore. Ammetto, con rammarico, di aver perso quella “spensieratezza da tifoso” dovendomi impegnare H24 negli aspetti anche burocratici e formali, molto poco esaltanti e per niente divertenti. È il prezzo che ho dovuto pagare per soddisfare il mio amore per questa attività.

Il suo lavoro la porta inevitabilmente a confrontarsi con persone di lingue e culture diverse. Se ne sente arricchito e in che modo?
Il mondo è bello perché vario. Sembra un luogo comune, ma invece è una meravigliosa realtà. La possibilità di entrare in contatto con culture differenti, apprezzando esperienze e storie che non hanno simili nel nostro paese, è forse il regalo più bello che mi ha donato il football. Un arricchimento personale che difficilmente avrei ottenuto in altre dimensioni lavorative.

E’ inevitabile rimarcare che il gioco del calcio è inquinato dal germe del razzismo, limitato sinora agli insulti più beceri, ma costantemente a rischio di degenerare. La sua cittadinanza è sia italiana che marocchina. Le chiedo se le è capitato di essere vittima di questo clima e come pensa dovrebbe essere affrontato?
Il razzismo è un vero e proprio melanoma civile, a fronte del quale le leghe calcistiche non possono, non devono limitarsi a spendere denaro per campagne e spot pubblicitari, più o meno riusciti. Credo che occorrerebbe lanciare dei segnali forti, magari mediante interventi incisivi e forse scomodi, per arginare questo fenomeno. Sentire ancora oggi citazioni quali “si tratta solamente di una piccola parte di ignoranti all’interno di una tifoseria sana e pulita” è francamente demoralizzante. E se è pur vero che posso riconoscere di essere uno di quei giocatori fortunati che non sono mai stati vittime di insulti o discriminazioni a sfondo razziale, e che ho avuto la possibilità di sentirmi sempre perfettamente integrato in Italia come, ovviamente in Marocco, è altrettanto vero che non si può discutere e prendere ad esempio il singolo caso, ma occorre affrontare la tematica da un punto di vista culturale e in un’ottica generale.

Ora che quotidianamente interagisce con giocatori di fama internazionale e si muove su un palcoscenico senza confini, dica la verità, si sente ancora con i suoi ex compagni di squadra del Quattro Castella?
Non ho mai perso i contatti quasi con nessuno e i moderni social, come WhatsApp e skype, in questo mi facilitano e mi aiutano. Ovviamente mi è difficile incontrare tutti di persona, magari in occasione di qualche festa o incontro di gruppo, essendo spesso impegnato per lavoro a distanza di centinaia di chilometri, e tuttavia, quando torno a casa sono sicuro di poterli incontrare seduti al solito tavolo del solito bar. È una di quelle belle cose che danno colore alla vita.