Lavoro, la Fiom: voragine fra crescita utili e aumento salari dei lavoratori

25 novembre 2019 | 14:34
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Lavoro, la Fiom: voragine fra crescita utili e aumento salari dei lavoratori

Secondo una ricerca della Cgil, nel periodo 2015-2018, gli utili sono cresciuti del 73% e i salari del 24%

REGGIO EMILIA – I profitti aziendali aumentano, ma i salari dei lavoratori non crescono di pari passo. Nel quadriennio 2015-2018 di vigenza dell’ultimo contratto nazionale del comparto, la ricchezza prodotta dalle imprese metalmeccaniche di Reggio Emilia e’ stata redistribuita dalle imprese per la maggior parte sugli utili, meno sugli investimenti e poco o nulla su retribuzioni, tfr e altri istituti per i dipendenti.

E’ quanto rivela una ricerca della Fiom reggiana, la prima per estensione e approfondimento dei dati mai finora realizzata sul territorio, curata dal ricercatore Matteo Gaddi. In esame sono stati presi gli oltre 3.500 bilanci degli ultimi quattro anni (ma quelli visionati sono piu’ di 10.000) di un campione di 750 aziende metalmeccaniche, comprensivo di realta’ con 1 dipendente, 15 addetti, e aziende dove la Fiom ha sottoscritto un contratto aziendale, di cui sono stati presi in considerazione tutti i principali indicatori economici.

Innanzitutto emerge cosi’ un aumento della ricchezza prodotta nel settore, indicata dal cosiddetto “valore aggiunto” (dato dal valore della produzione meno i costi) che e’ passato da 1,6 miliardi nel 2015 a 2,1 miliardi nel 2018, con un aumento percentuale del 31%. All’interno del valore aggiunto, da cui originano le risorse per tasse, investimenti, utili e salari, si nota pero’ una forbice molto ampia tra gli utili (cresciuti del 73,2%, da 323 a 561 milioni) e i cosiddetti “costi del personale” il cui aumento – da 100 a 124 milioni – e’ stato solo del 24%.

In valori assoluti le risorse per i costi del personale si sono ridotte del 3,5%, mentre quelle dirottate sugli utili sono aumentate del 6,2%. In lieve calo i fondi per gli investimenti delle aziende (meno 0,47%). Il trend si registra in tutte le imprese del territorio, comprese le 120 dove sono stati firmati contratti integrativi. Dove pero’ “senza gli accordi fatti sarebbe andata molto peggio”, commenta il segretario provinciale della Fiom di Reggio Simone Vecchi.

Secondo cui, dunque, “la sfida del vecchio contratto nazionale, che prevedeva di redistribuire la ricchezza dove veniva prodotta adeguando i salari all’inflazione e demandando tutto il resto a contratti integrativi, e’ stata persa”. Questo perche’, chiosa il sindacalista, “le imprese non hanno mantenuto le promesse e ora la disuguglianza e’ dietro l’angolo”.

Il vecchio contratto nazionale delle tute blu, soprannominato il “patto del cappelletto” perche’ firmato da due reggiani (Maurizio Landini, allora leader della Fiom, e Fabio Storchi, che guidava Federmeccanica), va insomma “rivisto e occorre trovare un nuovo modello”. A Vecchi fa eco il segretario organizzativo della Fiom provinciale Marco De Simone che sottolinea: “I costi del personale sono scesi anche a causa del precariato e della giungla degli appalti, con dinamiche da invertire”.

Riprendendo la parola il segretario fa notare infine: “Nella piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto nazionale che abbiamo presentato con Cisl e Uil, infatti, si prevede infatti anche un aumento dei salari dell’8%, a fronte di un’inflazione stimata del 3,2% nei prossimi anni”. L’analisi fatta dal sindacato sara’ ora inviata anche ai vertici nazionali di Federmeccanica, mentre e’ gia’ in cantiere una seconda ricerca sulla “qualita’” dei contratti integrativi firmati in provincia.