Amos Amaranti, 50 anni di chitarra e non sentirli

19 agosto 2019 | 19:19
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Amos Amaranti, 50 anni di chitarra e non sentirli

Innamorato della musica entrò giovanissimo, neanche ventenne, nel gruppo de “I Nomadi”

MODENA – Amos Amaranti, uno sguardo profondo, un sorriso accattivante e una personalità aperta, sa accoglierti con una naturale gentilezza. Innamorato della musica entrò giovanissimo, neanche ventenne, nel gruppo de “I Nomadi”, correva l’anno 1972. Fu un periodo forse breve, nove mesi, ma che lo vide partecipare al “Disco per l’estate” a Saint-Vincent e al lancio del brano “Io Vagabondo”, anche se non collaborò con la band alla registrazione del singolo. Partecipò però all’incisione di altri due brani, “Vola” ed “Eterno”. Dopo l’uscita dal gruppo, nel 1973, collaborò ancora con “I Nomadi” registrando il brano “Quanti anni ho”. Proseguì e continua tuttora la sua carriera artistica cooperando con altri gruppi e personalità di spicco.

Un anno di studio dell’oboe al conservatorio “Achille Peri” di Reggio Emilia, poi l’amore per la chitarra che ha vinto su tutto e, dulcis in fundo, “I Nomadi”. Cosa o chi l’ha reso possibile?
Il segreto del mio successo ha un nome preciso, Corrado Bacchelli, grande amico e soprattutto primo produttore della band di Novellara. Quell’uomo mi ha dato tutto nella vita. All’età di diciassette anni ero un accanito frequentatore del bar Grand’Italia, a Modena, che accoglieva artisti come l’Equipe 84 o giovani emergenti tra cui il sottoscritto e un certo… Vasco Rossi. Un giorno ero comodamente seduto al tavolo, al mio fianco si avvicinò un uomo; era Bacchelli che senza tanti giri di parole mi disse: “Sei pronto per accompagnare la voce della mia ragazza (Cristina Hansen) in tournée?” Non aveva finito di chiedermelo che avevo già la valigia in mano. Da quel giorno iniziai un cammino che mi portò ad approdare in terra nomade dove, ad accogliermi, vi era un signore barbuto, gentile e carismatico di nome Augusto Daolio.

Che cosa ha imparato da Augusto Daolio e cosa ha potuto trasmettergli a sua volta?
Alla corte dei Nomadi mi presentai senza cravatta e, con un blues improvvisato, li mandai in estasi. Ricordo ancora il sorriso sornione di Augusto ancor prima che dichiarasse il fatidico “Sei dei nostri”. Augusto sapeva trasmetterti serenità e conoscenza. Mi ha aperto un mondo nuovo. Grazie a lui ho scoperto dei veri e propri mostri del panorama musicale: John McLaughlin, Dan Fogelberg per citarne solo alcuni. Quando ascoltai per la prima volta le prodezze di questi fenomeni rimasi esterrefatto, un po’ come vedere all’opera Diego Armando Maradona. Augusto era inoltre un abile disegnatore e sia durante i lunghi viaggi, sia nei momenti di relax, gli passavo un foglio e una penna in modo che desse vita alle sue opere artistiche. Provo rabbia nel confessare che alcuni di quei disegni li ho buttati, non me lo perdonerò mai. Al compimento del mio diciottesimo anno di età trasformò un paio di miei pantaloni bianchi in un affresco. Da parte mia, cosa potevo trasmettere a un maestro se non la voglia di ascoltarlo?

La sua collaborazione con “I Nomadi” è durata solo nove mesi. Forse perché ha voluto ripercorrere la storia di Riccardo Fogli con I Pooh o di Jimmy Nicol con i Beatles?
Periodo breve ma al contempo intenso, segnato dalla presenza al “Disco per l’estate” a Saint-Vincent , era il 1972. Tornando alla sua domanda, non ho voluto imitare nessuno. Semplicemente, dopo la scomparsa di Corrado Bacchelli, qualche divergenza da un punto di vista manageriale mi ha portato ad allontanarmi dal gruppo. Tuttavia, pensandoci bene e a distanza di tempo, forse non ero neanche adatto ad una band come “I Nomadi” in quanto, personalmente, abbraccio un range musicale che va dal blues al rock passando per il funk, decisamente un mondo musicale differente da quello d’autore. Tra i miei mentori figurano artisti come Steve Lukather e George Benson.

Sono tanti quelli che da giovani si appassionano alla musica strimpellando una chitarra, ma quasi tutti si perdono per strada. C’è un segreto per riuscire a mantenere viva la propria passione?
Certo che sì. Bisogna seguire i propri sogni e mettere alla base di tutto lo studio. Non dico che sia necessario per forza di cose frequentare il conservatorio, ma le lezioni frontali o con supporti digitali sono fondamentali. Saper leggere uno spartito porta ad un arricchimento culturale e allarga il raggio dell’intenzionalità del pensiero. Mi permetto di fare un esempio, se si conoscono solo dieci parole non si potrà mai scrivere un libro e così è anche per un musicista; se si suonano solo dieci note non si potrà mai dare voce a un brano musicale.

Ascoltare il vero suono della chitarra sta diventando quasi impossibile dato il disordinato ricorso all’uso di effetti elettronici e alle correzioni in fase di registrazione. Pensa che sarà possibile un giorno tornare ad assaporare una musica vera come quando nelle cantine di Liverpool si assisteva agli esordi di quattro geni?
Purtroppo i geni riescono a emergere sempre meno in quanto alla conoscenza musicale si predilige il marketing. L’utilizzo della tecnologia permette anche a chi non sa cantare o suonare di sembrare bravo. La nitidezza data della voce o dallo strumento deriva solo ed esclusivamente da chi ha studiato nel vero senso della parola. Oggi sono pochi coloro che sanno leggere la musica.

Cosa possiamo aspettarci dal domani di Amos Amaranti?
Costanti avventure in compagnia di amici del calibro di Francesco Baccini, Alan Sorrenti (che considero un fratello), Beppe Cavani, Stefano Cappa, Daniela Galli, Cristina Montanari, Giordano Cestari, Irene Robbins e altri che seguiranno.