Il processo alla 'ndrangheta |
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Cronaca
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La ‘ndrangheta con il vestito nuovo che faceva affari con l’Emilia

18 luglio 2019 | 17:32
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La ‘ndrangheta con il vestito nuovo che faceva affari con l’Emilia

Le motivazioni delle 3.169 le pagine scritte dai giudici Caruso, Beretti e Rat per la sentenza di primo grado di Aemilia. Il pentito Valerio: “Siamo mafiosi maledettamente organizzati”

REGGIO EMILIA – “La ‘ndrangheta qui a Reggio Emilia e’ autonoma, evoluta e tecnologica”. E ancora: “Non sono le nostre origini la discriminante, ma cio’ che siamo: mafiosi e ‘ndranghetisti, maledettamente organizzati”. Sono le dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Antonio Valerio, pronunciate nell’aula del processo Aemilia l’11 ottobre del 2018, che aprono le 3.169 le pagine scritte dai giudici Francesco Caruso, Cristina Beretti e Andrea Rat per motivare la sentenza di primo grado del piu’ grande processo alla ‘ndrangheta al nord celebrato a Reggio Emilia.

Quello che per quasi tre anni – dal 23 marzo 2016 al 16 ottobre 2018 – ha visto sul banco degli imputati gli esponenti della cosca Grande Aracri di Cutro ed e’ terminato il 31 ottobre dell’anno scorso con condanne per 125 dei 148 imputati e piu’ di mille anni di reclusione comminati. Del sodalizio criminale i giudici scrivono che “e’ rimasto fedele alla sua consolidata fama criminale”, indossando pero’ “un abito nuovo che lo rendeva presentabile alla economia reggiana ed emiliana con la quale e’ entrata in affari, di cui ha mantenuto il controllo, fino a convincerla della proficuita’ dell’utilizzo dei suoi metodi di cui e’ talvolta rimasta vittima”.

Un “passaggio storico”, proseguono Caruso Beretti e Rat, dove giocano un ruolo fondAmentale “i mafiosi ‘puliti’ in grado di creare ricchezza illecita, finanziare l’azione della cosca e di reimpiegarne le ricchezze, nonche’ soggetti capaci, per il loro carisma e per la loro affidabilita’, di avvicinare nuovi imprenditori e di creare nuovi rapporti economici e relazioni anche con le istituzioni e con esponenti del settore creditizio e finanziario, in grado di agevolare l’azione del sodalizio e renderlo ancor piu’ presentabile agli occhi della collettivita’”.

C’erano dunque persone che si affiancano per la prima volta agli uomini di “azione” che “agiscono con i metodi e nei settori tradizionali e che possono anche ‘sporcarsi le mani’ e la fedina penale mediante la commissione di estorsioni, usure, incendi, traffico di stupefacenti”. Le motivazioni della sentenza oltre a sviscerare i dettagli dei 201 capi di imputazione del processo, ricostruendo il dibattimento e le prove che hanno caratterizzato le 190 udienze svolte nell’aula bunker del Tribunale reggiano, richiamano anche le inchieste precedenti ad Aemilia: Scacco Matto, Grande Drago, Edilpiovra, Pandora.

E in particolare Point Breack, che ha posto l’accento sul sistema di false fatturazioni e truffe societarie messe in atto dalla cosca, poi affinate all’ennesima potenza in Aemilia. A proposito delle prove, la Corte sottolinea che le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia “pur nella loro cospicuita’ e sicura importanza, non rappresentano affatto il nucleo portante dell’impianto probatorio offerto dalla pubblica accusa, svolgendo piuttosto una fondamentale funzione di integrazione e riscontro delle risultanze delle altre prove acquisite”. Tra queste prima di tutto l’imponente mole di intercettazioni ambientali e telefoniche (25.000 contatti che hanno dato corpo nel loro complesso ad una perizia trascrittiva composta da quasi 90.000 pagine distinte in 512 volumi).

Infine, i giudici, il filo rosso che lega tutte le vicende, lo spiegano cosi’: “Dietro ai singoli affari e’ possibile vedere scolpito il rapporto tra il sodalizio cutrese e quello emiliano che, ciascuno nella propria autonomia, operano sinergicamente per la massimizzazione del proprio interesse economico, secondo collaudate modalita’ di azione attuate tramite soggetti di fiducia che operano come anello di collegamento tra gli affari del sud e quelli del ben piu’ generosi del territorio emiliano”.

Il quadro si completa nel capitolo delle motivazioni sul “delitto associativo”, dove si parla dei “grandi affari” della cosca. Vicende che, si legge, “sono in grado di dimostrare, nella loro maestosita’, l’esistenza stessa della associazione mafiosa, del suo poderoso apparato organizzativo e della sua potenza economica” (Fonte Dire).