Minacce alle pizzerie, gli Amato restano in carcere

12 febbraio 2019 | 19:57
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Minacce alle pizzerie, gli Amato restano in carcere

I fratelli oggi in aula per la convalida del fermo. Due di loro dicono: “Non eravamo in città”. Il difensore: “Accuse deboli”

REGGIO EMILIA – Restano in carcere Mario, Michele e Cosimo Amato, i figli del condannato per ‘ndrangheta Francesco Amato e accusati della tentata estorsione nei confronti di quattro pizzerie della citta’ e della provincia di Reggio Emilia. Dopo l’udienza per la convalida del fermo, il giudice Dario De Luca ha infatti disposto nel tardo pomeriggio la misura di custodia cautelare in carcere per i tre giovani- assistiti dall’avvocato Franco Beretti- che questa mattina in aula si sono invece dichiarati innocenti.

Mario, Michele e Cosimo Amato oggi si sono difesi. Non sono loro, dicono, i responsabili della tentata estorsione con biglietti minacciosi e spari contro le vetrate, messa in atto negli ultimi 20 giorni nei confronti di quattro pizzerie di Reggio Emilia. Anche perche’, due dei fratelli (Mario e Michele) vi sono arrivati in autobus da Rosarno, dove erano per questioni personali, solo nella notte tra il 4 e il 5 febbraio.

Cioe’ giorni dopo l’inizio degli episodi che hanno scosso la comunita’ reggiana e impaurito i ristoratori di di citta’ e provincia, che erano cominciati lo scorso 26 gennaio. Tutto questo i figli di Francesco Amato, sequestratore delle Poste di Pieve Modolena e condannato per associazione mafiosa nel maxi processo Aemilia, lo ribadiscono questa mattina in tribunale davanti al giudice Dario De Luca, durante l’udienza di convalida del fermo disposto dal Pm Isabella Chiesi, che accusa i tre di tentata estorsione continuata, aggravata dall’uso di armi (ma la pistola che ha sparato si cerca ancora) e dal fatto di aver agito in piu’ persone.

In circa due ore di lavori a porte chiuse l’avvocato Franco Beretti, difensore degli Amato, ha inoltre contestato diversi punti dell’impianto accusatorio, chiedendo infine di non convalidare l’arresto dei giovani eseguito da Polizia e Carabinieri e di respingere la richiesta della misura di custodia cautelare in carcere.

Beretti sottolinea in particolare i due elementi sulla base dei quali la convalida potrebbe essere concessa, cioe’ la “gravita’ indiziaria” e il pericolo di fuga. Sul primo aspetto pero’ afferma: “Ci sono tanti piccoli indizi, nessuno dei quali ha in se forza”. Per esempio “sappiamo che c’e’ un’intercettazione della persona che ha fatto l’estorisione. Noi abbiamo chiesto una perizia su quella registrazione perche’ gli Amato sostengono di non aver mai fatto quella chiamata, cosa tra l’altro confermata dal fatto che e’ partita da un’utenza non riferibile ad uno di loro”.

E ancora: “Le immagini delle telecamere non dicono nulla. Nessuno e’ riconoscibile. Io ho anche chiesto di valutare bene la coincidenza tra la moto su cui certamente erano le persone che hanno fatto le estorsioni e quella che e’ stata sequestrata, perche’ non mi pare che la targa, sebbene sia in ombra, sia quella”. Quanto invece al pericolo di fuga, continua l’avvocato, “qui non c’e’ se non nelle congetture del pubblico ministero. Sono persone identificatissima e sia in Calabria sia qua hanno case e famiglie e non c’e’ nessun elemento che faccia pensare alla fuga. E’ vero che sono stati fermati su una macchina, ma non erano in fuga e non erano nemmeno vicino alla pizzeria, ma ad un chilometro o due dal locale e non lontano da casa loro”.

Insomma, conclude Beretti, “credo che questa storia abbia dei vuoti che in primo luogo spetta alla Procura colmare e noi la sollecitiamo. Poi ci sono altre indagini di natura difensiva che svolgeremo e che potranno essere abbastanza interessanti”.

Dei tre giovani accusati di aver gettato su Reggio Emilia l’ombra del racket, uno vive nella stessa citta’ emiliana. Cosimo Amato fa l’elettricista nella ditta del suocero, operante nel bolognese. Michele invece gestisce a Rosarno un minimarket. Mentre Mario si arrangia giu’ con lavori saltuari, avendo finito di recente di scontare la pena per una serie di reati commessi in gioventu’.