Elettrosmog, il Comune di Ventasso sperimenterà il 5G

2 febbraio 2019 | 16:55
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Elettrosmog, il Comune di Ventasso sperimenterà il 5G

E’ stato selezionato fra i 120 enti in Italia che, per primi, sperimenteranno quello che viene chiamato internet delle cose. I rischi e le opportunità della nuova tecnologia

VENTASSO (Reggio Emilia) – Ventasso, il nuovo ente nato dalla fusione dei territori di Busana, Collagna, Ligonchio e Ramiseto, è stato selezionato fra i 120 Comuni in Italia che, per primi, sperimenteranno le tre bande del 5G entro (e non oltre) i prossimi due anni. Gli altri Comuni selezionati nella nostra Regione sono quelli di Bore (Parma) e Vernasca (Piacenza).

Lo stabilisce il provvedimento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) approvato con una delibera dell’8 maggio scorso, ma passato praticamente inosservato. Questi sono i piccoli centri che, insieme alle Smart City (Roma, Milano, Torino, Cagliari, L’Aquila, Bari, Matera, Prato) testeranno le massicce radiofrequenze di quello che viene definito l’Internet delle cose.

Questo è solo il primo passo perché poi, entro il 1° gennaio 2022 le compagnie telefoniche aggiudicatarie delle inesplorate radiofrequenze messe all’asta dal ministro Di Maio dovranno avviare il 5G, per permettere ad almeno l’80% della popolazione nazionale (salirà al 99,4% entro giugno 2023) “la corretta fruizione, in maniera ragionevole anche in ambiente indoor”.

Questo signfica 5G irradiato per 365 giorni l’anno giorno e notte pure dentro case, ambienti pubblici e uffici, in tutti i comuni con più di 30.000 abitanti e in tutti i capoluoghi di provincia italiani. Il 5G fa tutti contenti: politica, istituzioni europee, industria e università applaudono alla trasformazione digitale che, si stima, porterà 900 miliardi di crescita in Europa e 1,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Ma a che prezzo?

Il problema è che gli scienziati segnalano che il 5G viaggia su frequenze altissime, mai usate finora, fino a 27,5 GHz mentre con il 4G si arriva al massimo a 2,6 GHz, quindi un’energia 11 volte superiore, ma che ha una “durata” di viaggio limitata. Quindi, per poter connettere tra loro fino a un milione di oggetti per chilometro quadrato, bisognerà installare migliaia di piccole antenne, ogni cento metri, che rilanceranno il segnale proveniente da un’antenna base più grande.

Il mondo accademico, come è noto, è diviso sulla pericolosità delle onde elettromagnetiche sull’uomo. Da una parte ingegneri e fisici riconoscono un effetto termico pericoloso, se per esempio teniamo il cellulare all’orecchio per troppo tempo; dall’altra biologi, oncologi e epidemiologi si battono perché vengano riconosciuti anche gli effetti non-termici, quelli sulle nostre cellule.

In un’intervista concessa al nostro giornale nel giugno scorso, la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttore del Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini di Bologna, affermava: “Antenne e tumori, il rischio è probabile. E’ possibile, come avvenne con l’eternit, che solo fra 20 anni sapremo che danni hanno prodotto le onde elettromagnetiche sui nostri figli. Serve un piano comunale, una diminuzione della potenza del segnale e bisogna evitare che i tralicci siano vicini a scuole ed ospedali”.

E spiegava “Sono stati fatti recentemente due esperimenti sui topi, da noi e dal National Toxicologic Program americano che hanno mostrato una correlazione fra esposizione dei roditori a queste onde, in dosi simili a quelle in cui siamo immersi nella nostra vita tutti i giorni, e tumori rari delle cellule nervose del cuore. Non può essere dovuta al caso l’osservazione di un aumento dello stesso tipo di tumori, peraltro rari, a migliaia di chilometri di distanza, in ratti dello stesso ceppo trattati con le stesse radiofrequenze. Inoltre, gli studiosi italiani hanno scoperto un aumento dell’incidenza di altre lesioni: l’iperplasia delle cellule di Schwann sia nei ratti maschi che femmine e gliomi maligni (tumori del cervello) nei ratti femmine alla dose più elevata. Sulla base dei risultati comuni, riteniamo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) debba rivedere la classificazione delle radiofrequenze, finora ritenute possibili cancerogeni, per definirle probabili cancerogeni”.