Editoriale

Immigrazione e rancore, il cuore di tenebra dell’Italia

29 gennaio 2019 | 08:19
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Immigrazione e rancore, il cuore di tenebra dell’Italia

Il nostro Paese sta diventando sempre di più, o forse lo è sempre stato e una certa politica ne ha scoperto il ventre molle, un Paese rancoroso, impaurito, volgare e violento

REGGIO EMILIA – Ma qualcuno pensa seriamente che 47 migranti costituiscano un problema per l’Italia? Che per non farli sbarcare si debba proibire (sarebbe poi da capire quanto sia democratico e legale tutto ciò, ndr) a chiunque di avvicinarsi alla Sea Watch a pochi chilometri dal porto di Siracusa? Ci sono 47 persone, su quella barca, più l’equipaggio, da giorni in balia delle onde. “Sequestrati” da una politica e da un governo che stanno ingaggiando, da mesi, un braccio di ferro con l’Europa per affermare il principio che i porti italiani sono chiusi (che fra l’altro non è vero, perché sono aperti in mancanza di ordini contrari, ndr) e che i disperati che vengono dall’Africa non possono sbarcare.

Si sta facendo credere agli italiani che i nostri problemi non derivano da una crescita economica asfittica e da una cronica incapacità dei nostri governi di rilanciare il nostro sistema economico e creare occupazione, ma da migliaia di poveri disgraziati che cercano un futuro migliore tentando di sbarcare sulle nostre coste. Sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. Perfino un’inchiesta come quella condotta dai carabinieri reggiani in questi giorni, che mostra lo sfruttamento barbaro e illegale della manodopera immigrata per la sicurezza negli spettacoli, da parte di italiani senza scrupoli, viene fatta passare come la dimostrazione dei guasti che produce un’immigrazione incontrollata. Senza riflettere sul fatto che il decreto sicurezza voluto da Salvini, purtroppo, getterà in mezzo alla strada e alla mercé di imprenditori senza scrupoli ancora più immigrati.

L’Europa, il continente con il migliore sistema di welfare al mondo e più ricco, non vuole accogliere le popolazioni immigrate che arrivano dall’Africa. Si rifiuta di distribuirle fra gli stati dell’Unione, molti dei quali, alcuni fra l’altro amici dell’attuale governo, non ne vogliono sapere di prendere quote di immigrati (i soldi della Ue, tuttavia, pare non gli facciano così schifo, ndr). Eppure non sarebbe un grande sforzo per un gigante politico ed economico come il nostro e, probabilmente, se gestito in modo adeguato, questo arrivo di braccia e di menti infonderebbe nuova linfa nelle nostre economie.

Le ong vengono disincentivate dall’aiutare i migranti in difficoltà che affondano nelle acque del Mediterraneo, nell’indifferenza generale. Il sistema di soccorso internazionale viene smantellato sempre di più. Abbiamo affidato, sapendo che non è in grado di gestirla, una zona Sar (Search and rescue) immensa alla Libia, uno stato fallito, in preda a una guerra civile, ma facciamo finta che siano in grado di farlo. Tutti gli stati europei sanno che non è così. Ma tutti si voltano da un’altra parte.

Ma quello che forse è peggio è l’imbarbarimento e la cattiveria che dilagano sui social. Ogni notizia postata, relativa a migranti, viene bersagliata da commenti inqualificabili. I più gentili li invitano a starsene a casa loro e sottolineano come nessuno li abbia obbligati a salire su quei gommoni. La nostra Italia sta diventando sempre di più, o forse lo è sempre stato e una certa politica ne ha scoperto il ventre molle, un Paese rancoroso, impaurito, volgare e violento.

Chi fa questi commenti dovrebbe ribaltare l’equazione e domandarsi quale tipo di disperazione può spingere quelle persone ad affrontare un viaggio terribile, in mezzo all’Africa, in cui molti di loro rischiano la morte, le torture delle carceri libiche e l’incognita di una traversata del Meditteraneo. Si deve fuggire da una disperazione tremenda per affrontare tutto questo. Se lo facessero, forse, la risposta gli arriverebbe da sola e, magari, vedrebbero quell’umanità stravolta in un altro modo.

Noi non ci saremo, ma gli storici, fra qualche decennio, ci giudicheranno per quello che stiamo facendo in questi anni e non sarà un giudizio benevolo.