L’inceneritore che non inquina? Esiste da 16 anni ed è reggiano

3 dicembre 2018 | 11:43
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L’inceneritore che non inquina? Esiste da 16 anni ed è reggiano

Cristiano Spaggiari spiega il brevetto di un’azienda novarese che permette di realizzare un impianto capace di smaltire ogni genere di rifiuti a zero emissioni, produrre energia e generare profitti in pochi anni. Diverse le richieste… dal resto del mondo

REGGIO EMILIA – L’inceneritore che non inquina esiste, ed è pure targato Reggio Emilia. Già, perché il brevetto dell’impianto a ciclo chiuso, che non emette fumi e non inquina, che ripaga interamente l’investimento in pochi anni grazie alla produzione di idrogeno che a sua volta genera energia elettrica, e può alimentare il teleriscaldamento di una città, esiste dal 2002.

Ed è stato brevettato, ha ottenuto certificazioni fra cui quelle del Politecnico di Milano di Enea e Tuv e ha incassato la fiducia di fondi d’investimento francesi e tedeschi. Parecchi governi (tutti stranieri) guardano con interesse a questa tecnologia che porta in calce una firma reggiana. Quella di Cristiano Spaggiari, 44 anni, oggi responsabile per l’Emilia-Romagna di una filiale del colosso bresciano della finanza NCM SPA, che ha in concessione il brevetto della 4HT di Novara che ha ideato l’inceneritore “green” basato sulla pirolisi e gassificazione ad altissima temperatura, lo stesso processo termochimico dinamico utilizzato per spezzare la catena delle diossine.

Spaggiari è consapevole che il suo progetto è rivoluzionario e può cambiare molte cose, tuttavia mantiene volutamente un basso profilo: anche perché non è semplicissimo far capire in giro che il sistema 4HT non è un inceneritore qualsiasi. Di questo impianto esiste già un modulo base sperimentale, potenzialmente in grado di eliminare 2,5mila tonnellate di rifiuti l’anno. L’impianto industriale è un modulo con capacità di smaltimento pari a 140mila tonnellate l’anno di rifiuti indifferenziati: un impianto dal costo di 360 milioni di euro chiavi in mano ed è espandibile collegando in parallelo più moduli. Fra le altre cose, l’impianto è finanziabile (a fondo perduto) per l’80% del costo dall’Unione europea.

Sri Lanka e Romania stanno valutando di utilizzarlo
Il progetto per la realizzazione del “termovalorizzatore green”, che non inquina perché i rifiuti – anziché bruciarli – li trasforma, è in corso di valutazione da parte degli Stati dello Sri Lanka e della Romania.

“In Sri Lanka – spiega il manager reggiano – la commissione tecnica cui il governo ha demandato l’analisi dei progetti ha selezionato il nostro impianto reputandolo “l’unico in grado di smaltire la loro discarica che consiste in circa 1 milione e mezzo di metri cubi di rifiuti che, al momento, si trovano mescolati con terra”. Questa manifestazione di interesse verso il nostro impianto da parte del Governo dello Sri Lanka discende anche dalla volontà del loro Governo di rispettare il protocollo di Kyoto comprensivo degli ultimi aggiornamenti richiesti dalla Cop 21 (Cop21 è la sigla che indica la 21° Conferenza delle parti, vale a dire gli Stati firmatari della Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici – Unfccc -) svoltasi a Parigi dal 30 novembre al 12 dicembre 2015.

Lo Sri Lanka ha già deliberato anche la parte economica del progetto, che per un terzo sarà a carico dello Stato e per i restanti due terzi dovrebbe essere a carico di investitori privati: al momento lo Sri Lanka sta conducendo trattative con due fondi, uno inglese e uno spagnolo, e due banche, una cinese e una svizzera.

Per quanto attiene alla Romania, invece, il Governo ha già deliberato la volontà di costruirne 10 dislocati su tutto il territorio romeno tuttavia, sotto il profilo economico le cose sono a un punto di stallo: il Governo vuole infatti appaltare gli impianti – e la loro realizzazione – a privati, ed al momento sta conducendo trattative con due fondi di investimento, uno inglese ed uno americano.

Situazione di stallo a Reggio e in Italia
A Reggio e in Italia la situazione non si evolve. “A Reggio – dice Spaggiari – c’è il monopolio di Iren, mentre in Italia è arrivato sui tavoli che contano, ma pare sia finito nel cassetto e nessuno ancora si è fatto avanti”.

Come funziona
Spaggiari spiega poi come funziona il suo inceneritore che non inquina. Dice: “Un inceneritore tradizionale brucia i rifiuti e scarica i fumi inquinanti all’esterno. La pirolisi gassificazione ad alta temperatura invece spezza le molecole. I materiali sono sottoposti a una temperatura di oltre duemila gradi, e ciò che resta sono inerti vetrificati “a norma”, quindi riutilizzabili nell’edilizia, gas idrogeno da utilizzare come vettore energetico e CO2. L’impianto non ha ciminiere né alcuna emissione di fumi e inquinanti di all’esterno. Può trattare non solo i rifiuti urbani, ma anche rifiuti speciali come gli ospedalieri non radioattivi, o le parti in plastica delle auto, i rifiuti industriali a componente organica etc”.

“I costi si ammortizzano in 4-5 anni”
I costi sono tuttavia elevati. Continua Spaggiari: “La cosa fantastica è che un ciclo da 140mila tonnellate si ammortizza in soli quattro/cinque anni. L’impianto produce idrogeno che attraverso una turbina General Electric viene trasformata in elettricità: 70 megawatt/ora di corrente cedibili alla rete, pari a 604mila megawatt in un anno. L’impianto, dopo essersi autoalimentato, cede alla rete elettrica l’energia prodotta, di conseguenza restano 604mila megawatt da rivendere. Inoltre dalla turbina si ricava acqua calda ideale per il teleriscaldamento. E sempre nel corso del processo recuperiamo circa 107mila Nm di Co2 (anidride carbonica) che viene compressa in bombole e rivenduta. Ma è chiaro che il grosso del guadagno arriva dall’energia elettrica ceduta alla rete e dai certificati energetico-ambientali che grazie a questa tecnologia possono essere ottenuti e, dunque, possono essere ceduti sul mercato. A questo va aggiunta la mancata emissione di circa 163mila tonnellate/anno di Co2 il che consente di non inquinare l’ambiente”.

La redditività da un lato e l’eliminazione dei fumi inquinanti dall’altro, spiegano l’interesse sia degli investitori internazionali sia di grandi centri urbani. E’ il caso di Chisinau: la capitale della Repubblica moldava ha il problema di eliminare i rifiuti che attualmente accumula in una montagna maleodorante, e intanto alimenta il suo teleriscaldamento con una vecchissima centrale a carbone. L’inceneritore a pirolisi risolverebbe di colpo entrambi i problemi, e per questo si è fatto avanti il principale industriale moldavo.

“Si tratta di un salto tecnologico – conclude Spaggiari – che fa invecchiare di colpo gli altri sistemi, risolve alla radice i problemi di inquinamento e, grazie al recupero energetico, trasforma il costo dello smaltimento rifiuti in una risorsa per la società”.